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Disturbo di personalità Borderline e comportamenti autolesionistici e suicidari

Tutto quello che segue è una sintesi del capitolo 3 del libro Disturbo di Personalità Borderline di John G. Gunderson • Perry D. Hoffman Edizione italiana a cura di Massimo Clerici Springer 2010

Diffusione e significato del problema

Gli individui con DPB presentano un tasso di suicidio nell'arco della vita di circa 9-10% (Linehan et al. 1991; Stone et al. 1987a, 1987b; Ventura et al. 1997). Si stima che fino al 75% di individui con DPB abbiano commesso un tentativo di suicidio non mortale (Fyer, 1988; Gunderson, 1984), e di questi quasi il 50% almeno un tentativo grave (Fyer 1988). Inoltre, circa l'80% della popolazione ricoverata per DPB ha commesso atti di auto-mutilazione, solitamente rappresentati dal tagliarsi, bruciarsi la pelle o colpirsi senza l'intenzione di morire (Shearer et al. 1988). Nonostante questi dati siano sorprendentemente alti, potrebbero in qualche modo sovrastimare l'incidenza di tali comportamenti nella popolazione generale con DPB, in quanto derivanti principalmente da studi su pazienti ricoverati. L'auto-mutilazione, di per sé, è un fattore di rischio per il comportamento suicidario, in quanto il 55-85% degli individui che si provocano automutilazioni hanno compiuto almeno un tentativo di suicidio (Favazza e Conterio, 1989; Gardner e Gardner, 1975; Rosenthal et al. 1972; Roy, 1978). La combinazione di comportamento suicidano e auto-mutilazione è particolarmente comune nel DPB (Soloff et al. 1994).

 

Comportamento autolesionistico: ragioni e funzioni

Una credenza comune è che l'autolesionismo non suicidano sia un modo per cercare l'attenzione e manipolare. Tuttavia, esistono evidenze cliniche ed empiriche che met tono in discussione quest'idea. L'autolesionismo non suicidano è spesso un comportamento molto privato; non di rado viene nascosto e negato. Le persone che si provocano lesioni in genere si vergognano profondamente del loro autolesionismo. Sherer (1994) e Brodsky et al. (1995) hanno riportato in maniera indipendente che circa il 50% dei pazienti con DPB ricoverati nascondeva il fatto di procurarsi lesioni e non permetteva che nessuno lo venisse a sapere. Suyemoto (1988) riporta come l'isolamento dagli altri quasi sempre preceda l'atto effettivo di auto-mutilazione.

L'autolesionismo non suicidario è spesso un comportamento molto privato; non di rado viene nascosto e negato. Le persone che si provocano lesioni in genere si vergognano profondamente del loro autolesionismo.
Nonostante ciò, le persone si sentono manipolate dall'autolesionismo e in effetti tale comportamento attira l'attenzione. È importante distinguere tra intenzione ed effetto. Suyemoto (1998) ha evidenziato come chi compia atti di auto-mutilazione, sentendosi sopraffatto dalle proprie emozioni, sia spesso inconsapevole dell'effetto che genera sugli altri. Tuttavia, l'attenzione che risulta dall'auto-mutilazione può diventare un rinforzo, così che anche quando il comportamento fosse stato inteso come obiettivo di regolazione delle emozioni, l'attenzione che ne risulta spesso diventa una conseguenza desiderabile. Le funzioni dell'autolesionismo più frequentemente riportate dai pazienti sono le seguenti.
1. Regolazione delle emozioni. L'autolesionismo non suicidano sembra far sentire meglio l'individuo riducendo la tensione emotiva, generalmente sperimentata come estremo disagio, ansia, rabbia, colpa o vergogna (Favazza e Conterio, 1989).
2. Distrazione. L'autolesionismo è anche utilizzato come distrazione dal dolore emotivo. In maniera simile alla bulimia con i suoi rituali e preoccupazioni, gli episodi di autolesionismo possono essere altrettanto auto-coinvolgenti. Per cui, l'autolesionismo diventa un'attività molto desiderabile e perciò serve da distrazione da emozioni ed eventi spiacevoli.
3. Auto-punizione. Gunderson e Ridolfi (2001) hanno riportato, sulla base della loro esperienza clinica, che il tagliarsi serve per lo più alla funzione di auto-punizione, "fornendo sollievo da uno stato non ben articolato ma intollerabile che include intensa vergogna, rimorso e convinzioni di cattiveria e alienazione" (p. 63).
4. Prova concreta di disagio emotivo. Questa è per lo più a beneficio del paziente stesso e non per fornire prove alle altre persone. Risulta difficile, per questi individui, credere a quanto si possano sentire male senza una prova visibile. Linehan (1993) ha descritto il processo di auto-invalidazione che si verifica nel DPB, dove gli individui credono che di stare iperreagendo o di non aver motivo per sentirsi in quel modo e, quindi, di non doversi sentire così. Una cicatrice o un livido possono fornire la prova concreta del loro stato emotivo.
5. Sforzo di controllo. Individui con DPB esprimono grosse difficoltà con la regolazione delle emozioni e quindi si sentono spesso fuori controllo. Per sentirsi di avere il controllo di eventi ed emozioni, si fanno del male. Facendosi del male, prendono il controllo dei comportamenti fuori dal controllo degli altri o degli eventi esterni che causano il loro disagio (Favazza, 1989).
6. Alleviamento dell'intorpidimento e della depersonalizzazione. Favazza (1989) chiama questa funzione "ritorno alla realtà". Molti individui con DPB sperimentano sentimenti molto dolorosi in risposta a eventi, interazioni o emozioni che li turbano. Questi sentimenti possono sopraffare e portare a una sensazione di "carico emotivo". Rimanere in questo stato è molto doloroso e come risultato il paziente può entrare in uno stato di intorpidimento e depersonalizzazione. Tuttavia, anche questo stato è sconcertante e risulta difficile uscirne. L'autolesionismo è uno dei pochi comportamenti che può alleviare tale intorpidimento.
7. Espressione della rabbia. Sfogare la rabbia attraverso l'autolesionismo sembra più sicuro e produce meno colpa che esprimere la rabbia verso altri (Favazza, 1989).
In un campione di pazienti con DPB ricoverati (Shearer, 1994), le funzioni più frequentemente riportate di autolesionismo non suicidano sono state: sentire dolore concreto invece di dolore emotivo travolgente (59%), infliggere autopunizione (49%), diminuire ansia e sentimenti di disperazione (33%), sentirsi in grado di esercitare un controllo (22%), esprimere la rabbia (22%), sentire qualcosa quando ci si trova in uno stato di intorpidimento e di mancanza di contatto (20%), cercare aiuto dagli altri (17%) e tenere lontani brutti ricordi (15%).

 

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Disturbo di Personalità Bordrline e approccio DBT ai comportamenti problematici e gravi                 in completamento



L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidemia nascosta
A cura di Ruth A. Lanius, Eric Vermetten, Clare Pain                                               Tradotto da C. Giampà Edizione italiana a cura di G. Tagliavini

Il collegamento rimanda alla presentazione del libro edito da Giovanni Fioriti. Di seguito un brevissimo estratto dalla presentazione:

...............     Gli eventi traumatici nei primi anni d'infanzia non vengono persi, ma piuttosto vengono conservati per tutta la vita, come le impronte di un bambino nel cemento fresco. Il tempo non cura le ferite che avvengono in quei primi anni: il tempo le nasconde solamente. Non vengono perse, diventano parte del corpo. Solo negli ultimi decenni abbiamo iniziato a riconoscere e comprendere l'ampiezza del problema di esseri umani danneggiati nel loro sviluppo. I limiti di questa comprensione, e le resistenze ad essa, sono ben delineate nel titolo di questo libro “L'Epidemia Nascosta”.    .........................