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Elevata
conflittualità intrafamigliare
Un ampio studio condotto su
3,328 studenti di scuola superiore in
Hong Kong, teso a valutare
comportamenti suicidari (4.7%),
autolesionismo (32.7%) e pensieri
suicidari (13.7%), ha messo in
evidenza che alcuni fattori familiari
erano significativamente correlati a
comportamenti autolesivi e suicidari:
l’instabilità familiare, l’elevata
conflittualità con scarsa attitudine
al sostegno familiare e la mancanza di
comunicazione (Shek DT 2012).
Nel nostro campione clinico l’elevata conflittualità
intrafamiliare, che può riguardare i
genitori o altri componenti della
famiglia e lo scarso sostegno emotivo
sono una caratteristica che intessano
la quasi totalità dei soggetti (90%).
Le tensioni emotive, generate da “affetti negativi” che sfociano in
prolungate contrapposizioni e non
sembrano risolversi mai perché quelle
appena risolte lasciano spazio ad
altre, finiscono col restituire
un’immagine familiare caratterizzata
dalla solitudine dei componenti dalla
famiglia stessa. In queste situazioni,
i minori non acquisiscono le
necessarie capacità elaborative che
normalmente facilitano il superamento
degli “affetti negativi”.
Nell’interessante rassegna relativa ai fattori di rischio per
comportamenti suicidari nei minori
anche Amitai e Apter (2012)
sottolineano l’importanza dei
fattori familiari, in particolare i
disturbi psichiatrici dei genitori, la
perdita per malattia di un genitore,
gli abusi intra familiari. Questi
autori sottolineano che le condizioni
citate hanno una rilevanza per il TS
indipendentemente dalla patologia
psichiatrica del minore.
Antonio, 12 anni, è arrivato alla valutazione per ripetuti gesti
suicidari con ferite da taglio.
Apparentemente i gesti potevano
essere interpretati come
manifestazioni di
autolesionismo; si trattava di
lesioni superficiali fatte con
vetri. I gesti suicidari erano nel
contesto di un completo ritiro
sociale con rifiuto della frequanza
scolastica e della frequantazione di
coetanei. Antonio, nei primi anni di
vita aveva presentato un disturbo di
salute fisica che aveva molto
preoccupato i genitori ed aveva
limitato, notevolmente, le sue
possibili esperienza di vita. Per la
stessa ragione era stato molto
protetto dalla madre con la quale
aveva stabilito un rapporto
privilegiato. Così quando il
rapporto tra i genitori è andato in
crisi, con litigi e tensionie, e
sono state avviate le procedure per
la separazione, Antonio si è
schierato, decisamente, con la
madre. In casa si è creata una
situazione di sofferenza per tutti i
componenti del nucluo famigliare.
Solo quando i genitori sono arrivati
ad un accordo ed Antonio ha potuto
riprendere una posizione neutra, di
vicinanza ad entrambi, si è
assistito ad un significativo
miglioramento con la ripresa del
percorso evolutivo.
Maltrattamento infantile (abuso
sessuale, abuso psicologico, abuso
fisico, trascuratezza)
Il
maltrattamento infantile è riconosciuto
come un fattore di rischio importante
per la genesi di comportamenti suicidari
in adolescenza. (Brezo et al. 2008)
Dalla
revisione di un elevato numero di
ricerche condotte sul tema (Miller et al
2013)
si evidenzia che il
maltrattamento infantile è fortemente
correlato ai comportamenti suicidari in
adolescenza;
si evidenzia inoltre che
l’abuso sessuale e quello psicologico
sarebbero relativamente più importanti
rispetto all’abuso fisico ed alla
trascuratezza.
In
un altro studio (Chen et al. 2010) che
ha analizzato 37 pubblicazioni dedicate
a questo argomento, viene segnalata una
significativa associazione tra abuso
sessuale e disturbi d’ansia,
depressione, DCA, PTSD, disturbi del
sonno e tentativi di suicidio. Nel
presente campione si è evidenziata una
significativa presenza di maltrattamento
infantile nelle diverse forme, tra
queste, risulta più elevata la
percentuale di abuso psicologico (50%), fisico
(30%) e trascuratezza (60%) mentre è
presente una prevalenza relativamente
bassa di abuso sessuale (1.5%).
Malattie
croniche
Nel gruppo clinico
seguito per tentativi di
suicidio 5 minori, tutte femmine,
erano affette da gravi patologie gravi
croniche: Diabete insulino dipendente,
Celiachia di grado grave, Arterite di Takayasu Sclerosi tuberosa asintomatica. In tutti i
casi erano compresenti disturbi
psichiatrici, consistenti in una
condizione depressiva comune a tutte
seppure con diverse gravità.
In letteratura (Butwicka 2015) viene riportato un’elevazione del rischio
suicidario (di 1.7) nei minori con
Diabete di tipo 1 così come viene
segnalato un rischio triplicato di
sviluppare un disturbo psichiatrico
nei 6 mesi successivi alla diagnosi.
Una ricerca, (Ludvigsson JF1et al 2011), ha mostrato come la Celiachia
determini un aumento del rischio
suicidario di 1,55 rispetto alla
popolazione generale. La nostra
paziente con Celiachia, oltre alla
condizione depressiva e al DBP,
presentava altri fattori di rischio:
disturbo psichiatrico del genitore,
varie forme di maltrattamento
infantile, uso di sostanze.
Esposizione al suicidio di familiari o amici intimi e perdita di un
familiare
Abbiamo già detto delle gravi
ripercussioni che può avere la perdita
di un genitore riguardo al TS. Come
evidenziato dalla letteratura che
segue, possono esserci gravi
conseguenze anche nel caso di perdita
di altri familiari o di amici
specialmente se il lutto è conseguenza
di eventi improvvisi e suicidio.
La morte di una persona amata rappresenta
l’esperienza emotiva più dolorosa
vissuta dagli esseri umani.
Per Farberow(1992) nel caso di perdita
per suicidio i sopravissuti
avrebbero maggiori difficoltà
nell’elaborazione del lutto.
Brent e coll (1993) hanno studiato un
gruppo di adolescenti in lutto per la
morte di un fratello, per suicidio,
constatando che sei mesi dopo il
suicidio avevano aumentato di 7 volte
il rischio di sviluppare una
depressione maggiore rispetto ad
adolescenti non esposti al suicidio.
In seguito alla perdita di un familiare
per suicidio l’indisponibilità emotiva
dei genitori a rispondere
adeguatamente ai bisogni dei figli può
rivelarsi fattore determinante
nell’aumentare il rischio suicidario,
i disturbi dell’umore ed il
peggioramento dell’adattamento sociale
(Pfeffer, 1997). Bartik W et al. (2013 a, b) hanno
evidenziato, in due recenti
pubblicazioni, come adolescenti
studiati in relazione alla perdita di
un coetaneo per suicidio presentavano,
a distanza di tempo, difficoltà a
comprendere l’evento luttuoso,
tristezza legata all’evento, pensieri
di comportamenti imitativi, sensi di
colpa per non aver impedito l’evento.
Anche questi autori hanno
sottolineato, inoltre, come sia
difficile che amici di giovani morti
per suicidio si rivolgano
spontaneamente, per aiuto, ai servizi
predisposti.
In
questo gruppo sono numerosi (25%) i
minori che hanno compiuto un gesto
suicidario e nella loro storia
riportano la perdita di amici o
famigliari come conseguenza di
incidenti automobilistici o più
raramente per suicidio. Le interviste
sull’attaccamento (AAI) di questo 25%
mostrano infatti gli indicatori di
mancata risoluzione del lutto.
Tra i casi clinici ricordiamo quello di
Anna che aveva subito la perdita
della cugina, con la quale era
cresciuta, per neoplasia. La morte
della cugina era avvenuta, rispetto
al primo TS di Anna, tre anni prima.
Il secondo TS è stato compiuto da
Anna nello stesso giorno in cui
ricorreva la morte della cugina.
Anna aveva lasciato una lettera per
spiegare il gesto collegandolo,
appunto, alla scomparsa della
cugina. Fortunatamente
i
farmaci che aveva assunto erano
insufficienti a provocare la morte
ed avevano soltanto determinato un
sonno prolungato.
Disturbo specifico di apprendimento (DSA)
Guardando invece ai disturbi specifici di
apprendimento (DSA), l’associazione
tra questi e i comportamenti suicidari
non risulta particolarmente indagata.
I pochi articoli dedicati a questo
argomento confermano come i DSA siano
collegati ad un aumento del rischio
suicidario sia per l’ideazione
suicidaria che per i tentativi di
suicidio (Bender, Rosenkrans, &
Crane, 1999; Daniel et al., 2006;
Wilson AM 2009).
In questo gruppo clinico le generiche
difficoltà scolastiche sono una
condizione che interessa tutti i 200
casi del campione. Si tratta di
difficoltà che riguardano: la
concentrazione, la possibilità di fare
investimenti affettivi nello studio e
le difficoltà relazionali con i
coetanei ed insegnanti.
Christiansen E (2015) che osserva come in
Danimarca il 95% degli adolescenti
termina la scuola secondaria mentre
gli adolescenti che hanno compiuto un
gesto suicidario cadano,
prevalentemente, nel 5% rimanente. La
prevalenza dei DSA riguarda, invece,
il 10% del campione.
Caso clinico
Daria, 12 anni, è arrivata al nostro servizio dopo un gesto
suicidario caratterizzato da
assunzione di farmaci (aspirina e
paracetamolo) fortunatamente in
quantità tali da non causare danni
per la salute fisica. I famigliari
sono apparsi subito molto
preoccupati e consapevoli della
gravità del gesto compiuto dalla
figlia.
Daria si è mostrata, inizialmente, poco disponibile a parlare di sé e delle ragioni del gesto
compiuto. Dai genitori siamo stati
informati che la famiglia aveva
subito un lutto importante due anni
prima con la perdita del figlio
maggiore, 5 anni più grande di Daria e che la figlia presentava importanti difficoltà scolastiche.
Abbiamo trovato, con Daria, una
buona alleanza terapeutica
proponendole di indagare le
difficoltà di apprendimento. In
effetti le difficoltà emotive di
Daria sembravano dipendere, in gran
parte, dalle difficoltà scolastiche.
Dalla valutazione si è,
effettivamente, evidenziato un
Disturbo Specifico di Apprendimento
(DSA). Per Daria la morte del
fratello era stata la conseguenza di
un infarto cardiaco, in realtà, il
fratello si era suicidato e le
principali difficoltà emotive, anche
per lui, sembravano essere collegata
alle difficoltà scolastiche.
I genitori avevano confermato che le difficoltà scolastiche dei
due figli erano simili.
Probabilmente, trattandosi di
difficoltà relativamente lievi per
la lettura (molto più importanti per
gli aspetti di comprensione del
testo scritto e di elaborazione
successiva) non erano risultate evidenti come DSA e così non era stata fatta nessuna segnalazione da parte degli
insegnanti. Le difficoltà di
apprendimento, dei due fratelli,
erano state archiviate come "scarso
interesse", "scarsa motivazione
verso la scuola" e genericamente
"mancanza di volontà" o "pigrizia".
Per i due fratelli non possiamo semplicemente costruire una
relazione diretta tra DSA e
comportamenti suicidari, come
sempre, gli eventi sfavorevoli, le
condizioni di vita stressanti sono
filtrate dalla personale resilienza.
Poichè nel lavoro clinico il
collegamento tra DSA e difficoltà
emotive, non necessariamente
comportamenti suicidari, è sempre
molto importante. Bisognerebbe
indagare se, almeno in alcuni casi,
non vi sia anche una difficoltà nel
funzionamento riflessivo connesso,
in qualche modo, alle difficoltà di
apprendimento. Mentre, è ben noto il
collegamento tra difficoltà
riflessive e difficoltà di
apprendimento quando le difficoltà
di apprendimento sono conseguenti a
ritardo di linguaggio.
Orientamento sessuale non convenzionale
In una recente ricerca (Lucassen M.F.
2015) che ha coinvolto minori di
scuola superiore in Nuova Zelanda si è
osservato che minori di orientamento
sessuale non convenzionale risultavano
essere il 6% e che rispetto ai
coetanei di orientamento sessuale
tradizionale avevano un rischio
maggiore di sintomi depressivi,
avevano peggiori relazioni familiari e
scolastiche ed una più elevata
prevalenza di comportamenti suicidari.
Nel gruppo degli adolescenti studiati il
15%
riferisce un orientamento
sessuale non convenzionale. In tutti i
casi vi erano comunque
fattori di rischio associati:
lutti, genitore affetto da disturbo
psichiatrico, adozione ed elevata
conflittualità intra famigliare.
Tutti i minori maschi, hanno riferito di
aver subito da parte dei coetanei
ostilità ed aggressioni sino al
bullismo a causa del loro orientamento
sessuale a cui si accompagnavano
notevoli difficoltà a dichiararsi con
i genitori.
Adozione
Una
ricerca (Keyes M.A. et al 2013) svolta
su un ampio gruppo di minori adottati a
confronto con un gruppo di controllo ha
mostrato che i tentavi di suicidio sono
risultati 4 volte più frequenti nel
gruppo degli adolescenti con storia di
adozione. Il risultato è rimasto
significativamente più elevato anche
“eliminando” altri fattori di rischio
presenti nel gruppo adottati.
Nella
nostra casistica i minori adottati sono
circa l’8% del totale. Uno
di loro ha compiuto più gesti suicidari.
Aveva una storia particolarmente
difficile sia per le condizioni
preadottive (all’età di tre anni,
quando era stato adottato, presentava
uno sviluppo psicomotorio di un
bambino di 18 mesi) sia per le
problematiche dei genitori adottivi.
La madre presentava una malattia
cronica esito della pregressa
tossicodipendenza e grave disturbo di
personalità borderline.
Minori
migranti che raggiungono i
familiari dopo separazione.
Nella
nostra casistica questo è un fattore di
rischio di rilevante consistenza
numerica, per altro ben noto in
letteratura.
Le informazioni che seguono riguardano
minori che hanno raggiunto i genitori
dopo separazione o minori di prima
generazione.
Complessivamente
nella nostra casistica la prevalenza di
minori migranti è intorno al 25% ma se
consideriamo solo la prevalenza negli
anni più recenti, quando il fenomeno
migrazione è risultato in forte
crescita, essa è significativamente più
alta. Infatti,
abbiamo osservato che di 17
minori seguiti nel 2010 per
comportamenti suicidari, 7 erano di
recente arrivo in Italia e rappresentano
il 41.2% mentre la percentuale di
adolescenti stranieri 15-19 anni
residenti a Bologna è del 13.4%. Tutti i
tentativi di suicidio erano gravati da
importanti conseguenze sanitarie.
Quando
un adolescente raggiunge i genitori (o
più spesso la madre), dopo una
separazione perché era stato lasciato
indietro nel percorso migratorio, i così
detti left behind children, incontra una
molteplicità di difficoltà che lo
rendono, nella prima fase del suo
inserimento, particolarmente fragile.
Il
problema dei minori lasciati a casa dai
genitori per migrazione economica (le
difficoltà maggiori si registrano quando
è la madre a partire) riguarda non solo
migrazioni tra paesi diversi ma anche
all'interno di uno stesso paese, come
mostrano numerosi studi cinesi che
riguardano migrazioni da aree rurali a
città con i minori rimasti a casa che
evidenziano, nei minori, notevoli disagi
psichici ed un aumento dei tentativi di
suicidio (Gao Y. et al., 2010).
Il
ricongiungimento dopo una lunga
separazione è spesso fonte di amare
delusioni e violente reazioni. Madre e
figli non si riconoscono reciprocamente
e non riescono a superare le immagini
idealizzate favorite dalla distanza e
dalla nostalgia che sono state costruite
nel tempo della lontananza. Inoltre la
condizione economica e sociale del
genitore è spesso assai più precaria di
quanto il figlio non si sarebbe
aspettato ed obbliga l'adulto ad
impegnarsi molto nel lavoro e a non
essere quindi così disponibile come al
figlio sarebbe necessario (Pietropolli
Charmet 2009). Le ricerche dedicate a
minori migranti che hanno compiuto un
gesto suicidario non sono molto
numerose, Colucci E. e Martin G. (2007
parte 1 e 2) hanno analizzato 82
ricerche (tra il 1966 ed il 2007)
dedicate alle problematiche suicidarie
di minori con specifica attenzione alla
dimensione etnoculturale. Tra queste non
vi sono ricerche specificamente condotte
su adolescenti che hanno compiuto gesti
suicidari e recentemente migrati. Per
altro nella review non si ricavano
informazioni certe rispetto
all'influenza della dimensione
etnoculturale sia per i fattori di
rischio che per quelli protettivi,
ovvero le condizioni di rischio note per
gruppi di adolescenti caucasici sono
considerate parimenti significative per
gruppi con caratteristiche etnoculturali
diverse.
L’importanza
della migrazione come fattore di rischio
rispetto ai ts emerge anche dalla nostra
casistica. In particolare, ricordiamo
due ragazze che a memoria di tutti noi
sono “i due casi più difficili” che
abbiamo trattato. Si tratta di due
ragazze, seguite in tempi diversi,
entrambe rumene che avevano compiuto
ripetuti ts.
L’analisi clinica evidenziò che
l’elemento di maggiore fragilità di
entrambe le ragazze era rappresentato
dalla assoluta debolezza dell’identità
personale e sociale conseguente alle
ripetute migrazioni che avevano dovuto
sopportare con le conseguenti
separazioni dai genitori e le difficoltà
nell’investire affettivamente gli adulti
cui venivano lasciate in custodia.
Internet e
suicidio
In
letteratura abbiamo rintracciato 183
articoli dedicati a questo tema.
Ciò
che viene particolarmente discusso è la
possibile pericolosità di internet (Lin
et al. 2014) o al contrario le
possibilità offerte in termini di
prevenzione e sostegno.
L'aspetto
che preoccupa maggiormente è il
cosiddetto “net
suicidio” o “internet
suicidio” caratterizzato da un
patto suicidario stretto tra sconosciuti
che si accordano per realizzare il loro
suicidio attraverso internet.
Un
altro aspetto interessante è
rappresentato dal
“Cybersuicide”
che definisce un suicidio progettato in
internet e che riguarda la possibilità
di ottenere informazioni su come
suicidarsi attraverso siti web dedicati.
Una
ricerca Giapponese ha rilevato in
proposito come la morte per monossido di
carbonio sprigionato da bracieri
appositamente realizzati sia aumentata
negli ultimi anni e come tutte le
informazioni relative siano state
raccolte attraverso internet
determinando nel 2005, in Giappone, 34
casi di suicidio collettivo di giovani
adulti con 91 vittime, mentre, nel 2004
si erano avuti 19 casi con 55 vittime.
(Mason C. 2010)
In
letteratura si discute se i siti web pro
suicidio possono essere causa scatenante
il suicidio in minori influenzabili per
loro fragilità. Molti autori rispondono
affermativamente sostenendo che il
suicidio è incoraggiato dal facile
reperimento di informazioni su come lo
si può realizzare; inoltre, viene fatto
notare che vi sono siti in internet che
scoraggiano l'uso di risorse sanitarie
per chi soffre di disturbi psichiatrici,
giustificano il suicidio e proibiscono
l'ingresso nei forum di discussione a
chi propone aiuti contro il suicidio.
L'Australia,
nel 2006, è stato il primo paese a
varare
una legge per perseguire
giuridicamente i siti web pro suicidio
scatenando per altro un acceso dibattito
anche sull'utilità di tale decisione.
La
maggioranza dei ricercatori più che
sostenere la censura, per altro
difficile se non impossibile da
praticare, suggerisce di attivare
risorse per la prevenzione del suicidio.
A
questo proposito vi sono ricerche che
hanno tentato di definire come rendere
più efficace la prevenzione del suicidio
via internet, suggerendo la costruzione
di siti internet ricchi di informazione;
oppure, vi sono studi che hanno valutato
la positiva efficacia di interventi di
prevenzione via chat.
Un
interessante articolo (Litwiller BJ
2013) indaga la relazione tra la
tendenza ad esercitare bullismo da
parte di adolescenti sia nella forma
tradizionale che attraverso internet
“Cyberbullismo”
e comportamenti suicidari.
Sugli stessi soggetti è stata valutata
anche la propensione a comportamenti
violenti, l’uso di sostanze e
comportamenti sessuali a rischio. La
ricerca si basava su un ampio numero
di adolescenti (4693 di età media 16
anni e 475 femmine) aveva evidenziato
che la presenza di tutti i
comportamenti segnalati era associata
a comportamenti suicidari.
Nella
nostra casistica non risultano
casi di internet suicidio mentre sono
il 5% i casi di cybersuicide.
Sono
invece numerosi i casi di ts con
cyberbullismo che arrivano a circa il
15%.
Riportiamo
di seguito due casi nei quali i mezzi
di comunicazione digitale sono stati
fattori precipitanti del gesto
suicidario.
I
casi di Barbara e Rita
Barbara, 17 anni,
aveva compiuto un tentativo di
suicidio per ingestione di detersivo.
La ragazza ha spiegato che considerava
il suo gesto più che un tentativo di
suicidio, un modo per mettere fine ad
una condizione esasperante che stava
vivendo da qualche mese.
Aveva
conosciuto un ragazzo, Giovanni, in
una chat e dopo un periodo intenso di
conversazioni avevano deciso di
trasformare la loro conoscenza in una
relazione affettiva virtuale almeno
fino a quando i due non fossero
riusciti ad incontrarsi, poiché
abitavano a molta distanza la
possibilità di incontrarsi era
rimandata all'estate. Nel frattempo la
loro relazione virtuale è diventata
sempre più intensa. Per desiderio del
ragazzo, Barbara doveva rimanere
prevalentemente a casa, sempre pronta
a chattare e quando era costretta ad
uscire doveva essere sempre
disponibile con il cellulare.
La
ragazza inizialmente ha accettato
tutte le pretese di Giovanni,
lusingata e sorpresa da tanto
interesse, ma il ragazzo, nel tempo, è
diventato sempre più insistente, fino
a pretendere che Barbara non uscisse
di casa neppure per andare a scuola.
Al rifiuto, sofferto, di Barbara,
Giovanni aveva minacciato di uccidersi
per lei.
Di
fronte ad un'ennesima crisi di gelosia
di Giovanni ed alle sue rinnovate
minacce suicidarie, Barbara
reagì dicendo: “tu dici di
suicidarti ma io lo faccio davvero” andò
a prendere del detersivo liquido e ne
bevve, per fortuna, solo una piccola
quantità.
Rita,
16 anni, una ragazza bellissima,
intelligente, brava a scuola, ben
inserita in un ricco contesto di
relazioni sociali ha cercato di
mettere fine alla sua vita saltando
dalla finestra della sua camera al
terzo piano. Le conseguenze sono state
disastrose ma si è salvata. Il ragazzo
con il quale aveva avuto una relazione
affettiva, quando lei aveva deciso di
interromperla, l’aveva minacciata di
pubblicare su un social network le
foto e i momenti intimi di un loro
rapporto. Rita non aveva sopportato
che queste immagini potessero essere
messe a disposizione di tutti e la
vergogna l’aveva spinta a farla
finita.
Imitazione
e il fenomeno dei mass-media
Vi è accordo generale sul fatto che è assolutamente necessaria
un’informazione responsabile da parte
dei mass media sugli eventi che
accompagnano un gesto suicidario in
modo da non ridurre la persona
all’evento. In questo senso vanno le
indicazioni dell’OMS (World Health
Organization, 2000) che invitano ad
evitare ogni sensazionalismo nei
titoli della notizia ad usare il
temine “morte” e non “suicidio” nei
titoli e soprattutto a comunicare le
possibili difficoltà che
caratterizzavano la vita della
persona. In sostanza, l’invito è a non
spettacolarizzare questi eventi, ma a
rispettare le persone e a valorizzare
i supporti sociali e sanitari a cui si
può ricorrere nei momenti di maggiore
difficoltà.
In questo modo i mezzi di comunicazione possono avere un ruolo attivo
nella prevenzione del suicidio.
Fattori
di rischio biologici
Sono
3 le linee di ricerca:
1)
Valutazione
dei metaboliti della serotonina nel
liquido cerebrospinale, il metabolite
5-HIAA risulta più basso in chi è morto
per suicidio ma anche in chi ha una
storia di tentativi di suicidio gravi.
Quindi ci sono alcune evidenze che
questo 5-HIAA basso sia predittivo di
rischio suicidario. (Pan et al. 2011, 2013)
2)
Valutazione di una
ridotta presenza del recettore della
serotonina 5-HT2A e dei trasportatori
della serotonina nella corteccia
prefrontale. Entrambi sono coinvolti
nello sviluppo della depressione ma
possono essere anche rilevati in modo
indipendente dalla depressione. Deficit
nell’area prefrontale sono associati ad
impulsività sotto stress.
(González-Castro 2013)
3)
Valutazione
degli aspetti genetici che avrebbe
evidenziato una associazione fra
suicidio e caratteristiche genetiche
relative alla codifica del trasportatore
della serotonina (5-HTT) e della sintesi
del triptofano idrosilasi (TPH). Per
altro ricerche svolte per confermare
queste ipotesi hanno trovato poche
conferme. (Schild et al 2013)
Inoltre
recentemente sono comparsi
molti studi che mostrano
un’alterazione della risposta della
prolattina in specifiche stimolazioni di
laboratorio in soggetti con tendenza
suicidale. Altre indagini riguardano
anche il coinvolgimento della
noradrenalina e della dopamina in
soggetti a rischio suicidario.
Dalla
rete suggerimenti anche in lingua
originale
L’impatto
del trauma infantile sulla salute e
sulla malattia. L’epidemia nascosta
A cura di Ruth A. Lanius, Eric
Vermetten, Clare
Pain
Tradotto da C. Giampà Edizione
italiana a cura di G. Tagliavini
Il
collegamento rimanda alla
presentazione del libro edito da
Giovanni Fioriti. Di seguito un
brevissimo estratto dalla
presentazione:
...............
Gli eventi traumatici nei
primi anni d'infanzia non vengono persi,
ma piuttosto vengono conservati per
tutta la vita, come le impronte di un
bambino nel cemento fresco. Il tempo non
cura le ferite che avvengono in quei
primi anni: il tempo le nasconde
solamente. Non vengono perse, diventano
parte del corpo. Solo negli ultimi
decenni abbiamo iniziato a riconoscere e
comprendere l'ampiezza del problema di
esseri umani danneggiati nel loro
sviluppo. I limiti di questa
comprensione, e le resistenze ad essa,
sono ben delineate nel titolo di questo
libro “L'Epidemia
Nascosta”. .........................
http://samaritansnyc.org/know-the-warning-signs/
Most
health experts agree that the key to
determining whether an individual is in
distress, depressed, in crisis or
at-risk for suicide (and, if so, to what
degree) is by identifying his or her
warning signs, risk and protective
factors associated with suicide. It
is important to take all warning signs
seriously and engage appropriate help
and support.
Warning
Signs
Warning
signs are indications that someone may
be at imminent risk for suicide
(immediately or in the near future). The
more warning signs someone shows, the
greater the risk of suicide. Some of the
affects, behaviors and actions that are
often related to an individual
experiencing suicide ideation are:
- Extreme mood swings or changes in
personality
- Changes in eating and sleeping
habits (such as sleeping too little
or all the time)
- A heightened fixation with death
or violence
- Expressing feelings of
hopelessness or no reason to live
- Engaging in self-destructive or
risky behavior
- Withdrawl from loved ones, friends
and community
- Announcing a plan to kill one’s
self
- Talking about or writing about
hurting one’s self, wanting to die
or kill one’s self
- Giving away prized possessions
- Obtaining a weapon or some other
means of hurting one’s self
- Increased use of alcohol or drugs
- Telling people he or she is ‘going
away’
- Loss of interest in things one
used to care about
- Being a victim of bullying, sexual
abuse, violence
- For youth, a sudden worsening of
school performance
- For youth, indications that the
teen is in some form of an abusive
relationship
- Saying things like:
“I
wish I were dead.”
“I’m
going to end it all.”
“You
will be better off without me.“
“What’s
the point of living?“
“Soon
you won’t have to worry about me.“
“Who
cares if I’m dead, anyway?“
Altro da: http://www.cdc.gov/violenceprevention/suicide/riskprotectivefactors.html
Risk Factors for Suicide
A combination of individual,
relationship, community, and societal
factors contribute to the risk of
suicide. Risk factors are those
characteristics associated with
suicide—they might not be direct
causes.
Risk Factors
- Family history of suicide
- Family history of child
maltreatment
- Previous suicide attempt(s)
- History of mental disorders,
particularly clinical depression
- History of alcohol and substance
abuse
- Feelings of hopelessness
- Impulsive or aggressive tendencies
- Cultural and religious beliefs
(e.g., belief that suicide is noble
resolution of a personal dilemma)
- Local epidemics of suicide
- Isolation, a feeling of being cut
off from other people
- Barriers to accessing mental
health treatment
- Loss (relational, social, work, or
financial)
- Physical illness
- Easy access to lethal methods
- Unwillingness to seek help because
of the stigma attached to mental
health and substance abuse disorders
or to suicidal thoughts
Additional Resources
- DeLeo D, Bertolote J, Lester, D.
Self-directed violence. 2002.
Chapter 7. In: Krug EG., Dahlberg
LL., Mercy JA, Zwi A, Lozano R, eds.
World
report on violence and health[PDF
239 KB].
Geneva: World Health Organization.
- Goldsmith SK, Pellmar TC, Kleinman
AM, Bunney WE, eds. Reducing suicide:
a national imperative.
Washington DC: National Academy
Press; 2002.
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Human Services; 1999.
- World Health Organization. Preventing
suicide: A global imperative.
Geneva, Switzerland: WHO; 2014.
This
supplement provides The
Canadian Journal of Psychiatry
readers with 6 articles in clinical
research about protective factors of
suicidal behaviours in adolescents,
while also considering depression
and borderline personality disorder
(BPD), 2 psychopathologies commonly
associated with these behaviours.
Wishing to disseminate their
research findings in North America,
authors from France and Quebec wrote
their papers in English. This
supplement is the result of a
Franco–Quebecer academic cooperation
started in 2005 at the Clinique des
troubles de l’humeur of
Rivière-des-Prairies Hospital
(Université de Montréal). It was
carried out in France with the
Service de psychiatrie de l’enfant
et de l’adolescent of l’Hôpital
Pitié-Salpêtrière (Université Pierre
et Marie Curie), Centre
Hospitalo-Universitaire in Rouen
(Université de Rouen), Centre
Hospitale in Rouvray, and Centre
Hospitalo-Universitaire in Amiens
(Université de Picardie Jules Verne)
and in Quebec with the Depressive
Disorders Program of Douglas Mental
Health University Institute (McGill
University) and Clinique réseau
jeunesse of Institut Philippe-Pinel
(Université de Montréal).
This child psychiatry
network dealing with suicidal
behaviours and associated
pathologies was funded, from 2006 to
2012, by the Commission permanente
de coopération Franco-Québécoise
(Franco–Quebecer cooperation
standing commission). It was managed
in Quebec and France by Professors
Jean-Jacques Breton, David Cohen,
Réal Labelle, and Jean-Marc Guilé.
This network allowed for student
exchanges, measure instrument
sharing and validation, national and
international scientific
communications, and finally, a
research data collection in Quebec
and France, where it was facilitated
by Professor Priscille Gérardin.
But why this interest for
protective factors in depression,
BPD, and suicidal behaviours in
adolescents? Three reasons guided
this search:
-
a concern for promoting a
more valid approach in child
psychiatry, which would target
all factors affecting mental
disorder, as protective
factors and risk factors are
closely related 1;
-
depression has become the
main cause of incapacity
worldwide 2;
-
and depressive disorders
chronicity raises a concern
about recurrence as early as
illness onset, anticipating a
positive impact from
interventions on protective
factors, although we do not
yet have conclusive findings.
A
stress-vulnerability-resilience
model, where risk factors contribute
to stress vulnerability while
protective factors promote
resilience is proposed in the first
article3
by the Clinique des troubles de
l’humeur team at
Rivière-des-Prairies Hospital. Risk
variables are stressful life events
depression, hopelessness, and
nonproductive coping strategies,
while protective variables include
productive coping strategies,
reasons for living, and
spirituality. This first article
based on Quebec data outlines the
present pattern of interactions
between different risk and
protective factors in adolescents
experiencing stressful events,
taking sex into account. Results are
generally as expected but are
meaningful only when protective
factors measure instruments are
valid.4
The work done on psychometric
qualities in French versions of the
Adolescent Coping Scale, the Reasons
for Living Inventory for
Adolescents, and the Spirituality
Scale is the subject of the second
article4
by Quebec colleagues, which
addresses the rationale for choice
of instruments, as well as the
construct reliability and validity,
and the convergence validity that
have shown to be appropriate.
Our French colleagues
have conducted 3 studies of
inpatient adolescents with a suicide
attempt in 5 French pediatry units.
This is a high-risk clinical
population. The multicentre study is
part of a longitudinal perspective,
specifically relevant for appraising
the suicidal risk evolution, as well
as the post-hospitalization impact
of management strategies. The
evaluation of these strategies will
be presented in later publications.
Colleagues in Groupe Hospitalier
Pitié-Salpêtrière propose an
explanatory model predicting
suicidal risk, 6 months after
hospitalization for a suicide
attempt.5
Beyond the risk factors burden, a
protective factor emerges: working
hard to succeed. Findings on
spirituality differ from those
observed in Quebec, which raises an
interesting discussion on this
concept between France and Quebec
authors.
Two articles6,7
where coping is targeted as a
protective factor for inpatient
adolescents with a suicide attempt
follow. The team at Centre
Hospitalo-Universitaire de Rouen
shows clearly that productive coping
strategies are associated with lower
depression scores. Focusing on a
positive strategy is protective of
depression and suicidal ideas, as it
is in Quebec. Moreover, colleagues
at Centre Hospitalo-Universitaire
d’Amiens shed new light on suicidal
adolescents with a BPD. Results meet
expectations for adolescents with or
without a BPD, but the
problem-solving strategy is
associated with the presence of
suicidal ideas immediately following
the suicide attempt.
The supplement ends with
a research paper on a fundamental
aspect of clinical research,
conducted at the Depressive
Disorders Program of Douglas Mental
Health University.8
The inter-informant agreement on
internationally used measures
detecting mental health problems is
evaluated. These measures are the
Child Behaviour Checklist (CBCL) and
the Youth Self-Report (YSR). The
agreement between adolescents (YSR)
and their parents (CBCL). Our
colleagues show that this agreement
between them varies based on sex,
age, and skill type.
To conclude, the
clinical reality of a depressed and
suicidal adolescent is indeed
complex. The supplement authors wish
that their contribution from
different angles of protective
factors will allow readers to
increase their knowledge, deepen
their thoughts, and be inspired.
Both
Guest Editors sincerely thank The
Canadian Journal of Psychiatry
Editors-in-Chief and Canadian
Psychiatric Association Director of
Scientific Publication for their
understanding and their constant
support in the making of this
supplement.
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