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Introduzione fattori di rischio, precedenti tentativi di suicidio, autolesionismo, tabella motivazionilutti, disturbo psichiatrico in un genitore,
elevata conflittualità famigliare, maltrattamento infantile, malattie croniche, esposizione al suicidio di famigliari - amici, disturbo specifico di apprendimento, orientamento sessuale non convenzionale,
adozione, minori migranti che raggiungono i familiari dopo separazione, internet e suicidio, imitazione e il fenomeno dei mass-media, fattori di rischio biologici.

Va precisato subito che, ad eccezione dell’aver già compiuto un gesto suicidario, non si tratta di fattori di rischio specifici per il suicidio. Come vedremo, questi fattori accompagnano spesso adolescenti sofferenti sul versante psicologico o che presentano un “blocco evolutivo” ma che non hanno compiuto gesti suicidari. Inoltre, è bene ricordare che i comportamenti suicidari non sono sufficienti per definire un gruppo omogeneo rispetto ai fattori favorenti o causali. I comportamenti suicidari possono infatti manifestarsi in minori che presentano diversa psicopatologia o con diverse risorse personali, familiari e sociali. Pertanto, la ripetizione del gesto e quindi la prognosi a distanza, non sono determinate soltanto dal comportamento suicidario ma dall’insieme delle caratteristiche psicopatologiche e psicosociali.

Si è soliti distinguere i fattori di rischio in precipitanti e cronici (Brent 2011). Questa distinzione permette di affrontare per primo il fattore che ha precipitato la crisi suicidale e subito dopo o in contemporanea i fattori che vengono riconosciuti come determinanti di uno stato di fragilità di fondo o di bassa resilienza di fronte ad un evento specifico. Possiamo ricordare che anche fattori traumatici che si sono verificati nel passato possono essere riattivati da eventi intercorrenti (King C. A. 2010, 2013) come, ad esempio, un abuso sessuale in età infantile che alla prima relazione affettiva adolescenziale fa riemergere acutamente senso di inadeguatezza e vergogna precedentemente sopiti.

Elenchiamo di seguito i fattori di rischio comunemente segnalati in letteratura: precedenti tentativi di suicidio, autolesionismo, diagnosi psichiatrica, problematiche familiari (lutti, disturbo psichiatrico, dipendenza da sostanze), problematiche personali (uso/abuso di sostanze, maltrattamento infantile nelle diverse forme, disturbi specifici di apprendimento (DSA), orientamento sessuale non convenzionale, esposizione al suicidio, effetto imitazione, migrazione (tentativi di suicidio in adolescenti migranti), eventi disciplinari (carcere), Malattia cronica e invalidante, Internet tra dipendenza e effetto imitativi, fattori biologici.

E’ necessario ricordare alcuni dati che hanno a che fare con le caratteristiche demografiche del genere e dell’età. E’ noto come la prevalenza dei suicidi realizzati sia maggiore nel sesso maschile rispetto al femminile e che vi sia un chiaro aumento della prevalenza a partire dai 15 anni con continuo incremento. Per i tentativi di suicidio la prevalenza maschi/femmine è diversa e maggiore per il sesso femminile (Centre Disease Control Prevention, 2012a,b,c) (maschi 5,8% e femmine 9.8%). Tra le ragioni certe della minor prevalenza del suicido realizzato nel sesso femminile ricordiamo il metodo utilizzato (King et al. 2013). I maschi utilizzano metodi più cruenti che hanno un maggior rischio di letalità come le armi da fuoco. Nel sesso femminile il metodo più utilizzato riguarda l’avvelenamento, spesso da farmaci, a minor potenziale letalità.

Nel nostro campione clinico il sesso femminile prevale per il 65% ed è di poco inferiore a quanto si evince dalla letteratura per prevalenza di genere; l’età media è intorno a 16.8 anni.

Precedenti tentativi di suicidio

Come segnalato questo è il fattore di rischio più specifico per il suicidio realizzato, ad esso va dunque riservata la più grande attenzione. Sappiamo infatti che il 40% dei giovani che muoiono per suicidio avevano fatto precedenti tentativi (Brent, Kolko, Wartella, & Boylan, 1993; Brent, Perper, Moritz, Allman, et al., 1993; Brent D.A. 1993a,b,d,e.f.g; Shaffer, Gould, Fisher, & Trautman, 1996), e che fra il 15 e il 40% degli adolescenti che tentano il suicidio, hanno già compiuto in precedenza uno o più tentativi. (Brent D. 2011).

I ricercatori hanno descritto alcune caratteristiche che differenziano il gruppo degli adolescenti che ha compiuto più tentativi di suicidio - i così detti “ripetitori” - dal gruppo di adolescenti al primo tentativo di suicidio: i “ripetitori” sono più a rischio di portare a termine il progetto suicidario. In una ricerca risulta che il rischio che i “ripetitori” si tolgano la vita è del 4% rispetto al 1% dei soggetti al primo tentativo. (Eyman J. e Smith K. 1986). Kotila L. e Lonnqvist J. (1987).

Inoltre questi adolescenti sono maggiormente a rischio di ripetere il gesto suicidario e di ripeterlo a distanza di poco tempo dal precedente, più frequentemente hanno disturbi dell’umore, in particolare depressione, rabbia e impulsività, nel corso della loro vita hanno subito più eventi stressanti e/o sono dotati di minori competenze nell’affrontarli. Va ricordato che il periodo più a rischio per la ripetizione del gesto suicidario è compreso far i sei mesi e un anno dopo il primo tentativo. Si stima che il rischio di ripetizione nei primi sei mesi sia fra il 15 e 18% e diminuisca successivamente. (Reynolds, P., & Eaton, P. (1986) Cedereke M et al. 2005). Nel campione oggetto dello studio il 27% ha compiuto più di un gesto suicidario. Se analizziamo i soggetti “ripetitori” all’interno del gruppo clinico, ci accorgiamo che si tratta degli adolescenti globalmente più compromessi: maggiore gravità del disturbo psicopatologico, presenza di comorbilità multipla (disturbi depressivi in comorbilità DPB/DCA e dipendenza da sostanze), bassissima qualità del loro adattamento sociale e scarse risorse familiari.


Storia clinica

Una minore che aveva compiuto nei mesi precedenti gesti suicidari con scarse conseguenze sanitarie aveva studiato attentamente, utilizzando informazioni ricavate da internet, una modalità con alta probabilità di esito fatale. Aveva quindi acquistato in diverse farmacie prodotti a base di potassio e ne aveva assunto un dosaggio letale. Solo il pronto intervento medico, attivato dalla madre, evitò il decesso. Questo progetto suicidario era stato occultato accuratamente ed anzi, durante gli incontri clinici ed educativi presso il nostro Servizio, si era sforzata di mostrarsi sorridente ed interessata alle attività proposte. Solo dopo il gesto suicidario è stato possibile comprendere che il mancato riconoscimento della sua sofferenza, la mancanza di speranza nella possibilità di modificare il suo vissuto personale di assenza di prospettive per il futuro e quella familiare, il senso di solitudine, lo stato depressivo grave resistente alla terapia farmacologica, avevano determinato il mantenimento del proposito suicidario nonostante l’intervento terapeutico in corso. Dopo un prolungato ricovero per ragioni sanitarie è seguito un ricovero psichiatrico che ha permesso di impostare un percorso terapeutico che ha abbassato il rischio suicidario. A distanza di un anno non si sono ripetuti tentativi di suicidio.



Riportiamo di seguito una tabella tratta da un lavoro di Boergens at al (1998) che differenzia la motivazione al suicidio negli adolescenti da loro seguiti, fra principale e concorrente:


Boergers, J., Spirito, A., & Donaldson, D. (1998).

Reasons for adolescent suicide attempts: Associations with psychological functioning.

Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 37(12), 1287–1293

Le motivazioni più comuni per tentativi di suicidio in adolescenza (da Brent 2011) suddivise fra ragione principale e ragioni concorrernti alla decisione

Motivazione

Ragione principale

ragione concorrente

Decisione di morire

28%

56%

Fuga dal dolere mentale

18%

57%

Fuga da una situazione difficile

13%

55%

Comunicare disperazione

9%

28%

Per testare o comunicare amore

7%

48%

Spaventare o indurre rimpianto

4%

29%

Influenzare altri o ottenere aiuto

3%

31%


Autolesionismo

Nelle Columbia-Suicide Severity Rating Scale (Mundt, J.C et al. 2010a,b e 2013, Posner K 2008, 2011, Giddens et al 2014; Gipson et al. 2015), che utilizziamo per la valutazione del rischio suicidario, l’autolesionismo è definito come “un comportamento autolesivo privo di intenzionalità suicidaria”. La scala permette di distinguere attraverso domande mirate i comportamenti autolesivi dai comportamenti suicidari. Limite da questo punto di vista della scala CSSRS è la mancanza di una più dettagliata valutazione dei comportamenti autolesivi (Greist JH et a. 2014). Infatti la FDA nelle precise indicazioni che fornisce per l’uso di strumenti di valutazione nelle ricerche che ad esempio utilizzano farmaci chiede di indagare dettagliatamente ideazione suicidaria comportamenti suicidari ed autolesionismo con un’unica scala che da la certezza che tutte le manifestazioni siano contemporaneamente e coerentemente indagate. (United States Food and Drug Administration 2010, 2014; Stone M et al. 2009 )

La distinzione risulta molto utile per la valutazione del rischio suicidario immediato, mentre è poco significativa in termini prognostici. Nel gruppo di adolescenti seguiti, nel 50% dei casi comportamenti autolesivi (prevalentemente tagli) hanno preceduto per diverso tempo - in alcuni casi anni - un gesto suicidario ed hanno continuato a manifestarsi anche successivamente.

Infatti, per aspetti di funzionamento intrapsichico vi sono numerosi punti di contatto tra autolesionismo e tentativi di suicidio, in particolare per quel che riguarda la gestione delle emozioni che, non mentalizzate, tendono ad essere agite, e questo avviene spesso avendo il corpo come oggetto su cui scaricare le tensioni (Jeammet P., 1996) e si possono quindi prevedere oscillazioni tra le due modalità.

Interessanti riflessioni sono proposte da Rossouw 2014 (in: Midgley N., Vrouva I., 2014) sia rispetto alla frequente sovrapposizione tra le due manifestazioni sia per il fatto che l’autolesionismo è un riconosciuto fattore di rischio per il suicidio completo. Osservazione, questa, sostenuta anche da Fonagy et al. (2014).

Riguardo al rapporto fra autolesionismo e tentativi di suicidio si può segnalare come un’indagine svolta contestualmente in Germania e negli Stati Uniti utilizzando gli stessi strumenti ha riscontrato gli stessi risultati indipendentemente dal paese indagato: autolesionismo una volta nella vita: 25.6%; autolesionismo ripetuto: 9.5%; tentativi di suicidio 6.5% (Plener P. L. et al., 2009). In una recente revisione della letteratura (Turner B. J et al., 2014), la prevalenza dell’autolesionismo in pre adolescenza risulta del 7.7% in adolescenza varia tra il 13.9% ed il 35.6%. Ancora più recentemente (Turner B.J. et al., 2014), uno studio condotto secondo i criteri del DSM V segnala intorno al 6,7% gli adolescenti che manifestano autolesionismo. In uno studio ( Poggioli et al 2002 ) condotto presso delle scuole superiori ha mostrato che la prevalenza a Bologna di almeno un atto autolesionistico nell’ultimo anno risulta essere del 9%.

La prevalenza di autolesionismo nella popolazione adulta sarebbe compresa tra il 4% ed il 5.9%.

Ricordiamo che nel DSM-5 (APA, 2013) sono state inserita le categorie diagnostiche di “Autolesionismo non suicidario” (NSSI: not suicidal self injury) e “Autolesionismo non suicidario non altrimenti specificato” (NSSI-NAS). Tali disturbi sono stati inseriti nella categoria dei disturbi diagnosticati generalmente per la prima volta nell’infanzia, fanciullezza e adolescenza. In precedenza (DSM IV) l'autolesionismo veniva più facilmente considerato un sintomo del Disturbo di Personalità Borderline.




Lutti e perdita precoce di un genitore per morte.

Sulla base delle diverse ricerche da lui condotte su bambini che si sono suicidati, Orbach I. (1984,1986,1991a,b) sottolinea l’importanza della perdita precoce in seguito a morte di un genitore: tale dato risulta infatti presente fino al 45% dei casi da lui considerati. Risulta inoltre che questi soggetti erano stati esposti ad un’altra separazione da una figura significativa poco prima del gesto suicidario. Numerose ricerche  suggeriscono in effetti che il suicidio è correlato a perdite ripetute, sperimentate in età precoce, spesso dovute a cause tragiche. Il 15% dei minori seguiti per tentativi di suicidio hanno perso un genitore per malattia (Zhiqi You, 2014). In alcuni casi il decesso si era verificato alcuni mesi prima del tentativo di suicidio ed era quindi relativamente recente. In tutti i casi il decesso aveva interessato il genitore con maggiore capacità di sintonizzazione ed il lutto era stato vissuto in estrema solitudine. Questo aspetto era stato segnalato prevalentemente (Rigon et al. 1999). In più casi come conseguenza della perdita, nei mesi successivi, si erano manifestati sintomi dissociativi ed altre manifestazioni ascrivibili al disturbo post traumatico da stress. (Ruby E. 2013). Si può consultare la storia di Maria per approfondimento clinico.

 

Disturbo psichiatrico in un genitore

Vi sono molti studi che mettono in relazione un disturbo psichiatrico in un genitore all’aumento di rischio suicidario nei figli.

Brent et al. (2015) hanno evidenziato come la presenza di tentativi di suicidio nella vita di un genitore aumenti di 5 volte la possibilità che i figli, a loro volta, tentino il suicidio.

Uno studio (King et al 2010,2013) condotto su 352 adolescenti (13-17) ricoverati per ts ha mostrato che il rischio di ripetizione di tentativi di suicidio entro un anno era doppio se almeno uno dei genitori aveva un disturbo psichiatrico.

Nella presente casistica risulta che  oltre il 50% dei  minori presentavano almeno un genitore affetto da un disturbo psichiatrico diagnosticato prima della nostra consultazione sul figlio. Questa prevalenza aumenta sino al 75% se consideriamo le valutazioni dei genitori svolte all’interno del nostro servizio. Esiste una correlazione diretta tra la gravità del disturbo psichiatrico del genitore e la gravità delle manifestazioni suicidarie del minore (Poggioli et al 1999). Per altro, è necessario sottolineare come in tutti questi casi erano evidenziabili altri fattori di rischio in particolare l’abuso psicologico e spesso i maltrattamenti fisici. In almeno due casi questa condizione di abuso aveva comportato un precoce allontanamento del minore dal nucleo familiare ed il collocamento in struttura protetta anche per l’assenza del genitore non malato.


 Elevata conflittualità intrafamigliare

Un ampio studio  condotto su 3,328 studenti di scuola superiore in Hong Kong, teso a valutare comportamenti suicidari (4.7%), autolesionismo (32.7%) e pensieri suicidari (13.7%), ha messo in evidenza che alcuni fattori familiari erano significativamente correlati a comportamenti autolesivi e suicidari: l’instabilità familiare, l’elevata conflittualità con scarsa attitudine al sostegno familiare e la mancanza di comunicazione (Shek DT 2012).

Nel nostro campione clinico l’elevata conflittualità intrafamiliare, che può riguardare i genitori o altri componenti della famiglia e lo scarso sostegno emotivo sono una caratteristica che intessano la quasi totalità dei soggetti (90%).

Le tensioni emotive, generate da “affetti negativi” che sfociano in prolungate contrapposizioni e non sembrano risolversi mai perché quelle appena risolte lasciano spazio ad altre, finiscono col restituire un’immagine familiare caratterizzata dalla solitudine dei componenti dalla famiglia stessa. In queste situazioni, i minori non acquisiscono le necessarie capacità elaborative che normalmente facilitano il superamento degli “affetti negativi”.

Nell’interessante rassegna relativa ai fattori di rischio per comportamenti suicidari nei minori anche Amitai e Apter (2012)  sottolineano l’importanza dei fattori familiari, in particolare i disturbi psichiatrici dei genitori, la perdita per malattia di un genitore, gli abusi intra familiari. Questi autori sottolineano che le condizioni citate hanno una rilevanza per il TS indipendentemente dalla patologia psichiatrica del minore.

Antonio, 12 anni, è arrivato alla valutazione per ripetuti gesti suicidari con ferite da taglio. Apparentemente i gesti potevano essere interpretati come manifestazioni di  autolesionismo; si trattava di lesioni superficiali fatte con vetri. I gesti suicidari erano nel contesto di un completo ritiro sociale con rifiuto della frequanza scolastica e della frequantazione di coetanei. Antonio, nei primi anni di vita aveva presentato un disturbo di salute fisica che aveva molto preoccupato i genitori ed aveva limitato, notevolmente, le sue possibili esperienza di vita. Per la stessa ragione era stato molto protetto dalla madre con la quale aveva stabilito un rapporto privilegiato. Così quando il rapporto tra i genitori è andato in crisi, con litigi e tensionie, e sono state avviate le procedure per la separazione, Antonio si è schierato, decisamente, con la madre. In casa si è creata una situazione di sofferenza per tutti i componenti del nucluo famigliare. Solo quando i genitori sono arrivati ad un accordo ed Antonio ha potuto riprendere una posizione neutra, di vicinanza ad entrambi, si è assistito ad un significativo miglioramento con la ripresa del percorso evolutivo.

Maltrattamento infantile (abuso sessuale, abuso psicologico, abuso fisico, trascuratezza)

Il maltrattamento infantile è riconosciuto come un fattore di rischio importante per la genesi di comportamenti suicidari in adolescenza. (Brezo et al. 2008)

Dalla revisione di un elevato numero di ricerche condotte sul tema (Miller et al 2013)  si evidenzia che il maltrattamento infantile è fortemente correlato ai comportamenti suicidari in adolescenza;  si evidenzia inoltre che l’abuso sessuale e quello psicologico sarebbero relativamente più importanti rispetto all’abuso fisico ed alla trascuratezza.

In un altro studio (Chen et al. 2010) che ha analizzato 37 pubblicazioni dedicate a questo argomento, viene segnalata una significativa associazione tra abuso sessuale e disturbi d’ansia, depressione, DCA, PTSD, disturbi del sonno e tentativi di suicidio. Nel presente campione si è evidenziata  una significativa presenza di maltrattamento infantile nelle diverse forme, tra queste, risulta più elevata la percentuale di abuso psicologico (50%),  fisico (30%) e trascuratezza (60%) mentre è presente una prevalenza relativamente bassa di abuso sessuale (1.5%).

Malattie croniche

Nel  gruppo clinico  seguito per tentativi di suicidio 5 minori, tutte femmine, erano affette da gravi patologie gravi croniche: Diabete insulino dipendente, Celiachia di grado grave, Arterite di Takayasu Sclerosi tuberosa asintomatica. In tutti i casi erano compresenti disturbi psichiatrici, consistenti in una condizione depressiva comune a tutte seppure con diverse gravità.

In letteratura (Butwicka 2015) viene riportato un’elevazione del rischio suicidario (di 1.7) nei minori con Diabete di tipo 1 così come viene segnalato un rischio triplicato di sviluppare un disturbo psichiatrico nei 6 mesi successivi alla diagnosi.

Una ricerca, (Ludvigsson JF1et al 2011), ha mostrato come la Celiachia determini un aumento del rischio suicidario di 1,55 rispetto alla popolazione generale. La nostra paziente con Celiachia, oltre alla condizione depressiva e al DBP, presentava altri fattori di rischio: disturbo psichiatrico del genitore, varie forme di maltrattamento infantile, uso di sostanze.

Esposizione al suicidio di familiari o amici intimi e perdita di un familiare

Abbiamo già detto delle gravi ripercussioni che può avere la perdita di un genitore riguardo al TS. Come evidenziato dalla letteratura che segue, possono esserci gravi conseguenze anche nel caso di perdita di altri familiari o di amici specialmente se il lutto è conseguenza di eventi improvvisi e suicidio.

La morte di una persona amata rappresenta l’esperienza emotiva più dolorosa vissuta dagli esseri umani. Per Farberow(1992) nel caso di perdita per suicidio i sopravissuti  avrebbero maggiori difficoltà nell’elaborazione del lutto.

Brent e coll (1993) hanno studiato un gruppo di adolescenti in lutto per la morte di un fratello, per suicidio, constatando che sei mesi dopo il suicidio avevano aumentato di 7 volte il rischio di sviluppare una depressione maggiore rispetto ad adolescenti non esposti al suicidio.

In seguito alla perdita di un familiare per suicidio l’indisponibilità emotiva dei genitori a rispondere adeguatamente ai bisogni dei figli può rivelarsi fattore determinante nell’aumentare il rischio suicidario, i disturbi dell’umore ed il peggioramento dell’adattamento sociale (Pfeffer, 1997). Bartik W et al. (2013 a, b) hanno evidenziato, in due recenti pubblicazioni, come adolescenti studiati in relazione alla perdita di un coetaneo per suicidio presentavano, a distanza di tempo, difficoltà a comprendere l’evento luttuoso, tristezza legata all’evento, pensieri di comportamenti imitativi, sensi di colpa per non aver impedito l’evento. Anche questi autori hanno sottolineato, inoltre, come sia difficile che amici di giovani morti per suicidio si rivolgano spontaneamente, per aiuto, ai servizi predisposti.

 In questo gruppo sono numerosi (25%) i minori che hanno compiuto un gesto suicidario e nella loro storia riportano la perdita di amici o famigliari come conseguenza di incidenti automobilistici o più raramente per suicidio. Le interviste sull’attaccamento (AAI) di questo 25% mostrano infatti gli indicatori di mancata risoluzione del lutto.

Tra i casi clinici ricordiamo quello di Anna che aveva subito la perdita della cugina, con la quale era cresciuta, per neoplasia. La morte della cugina era avvenuta, rispetto al primo TS di Anna, tre anni prima. Il secondo TS è stato compiuto da Anna nello stesso giorno in cui ricorreva la morte della cugina. Anna aveva lasciato una lettera per spiegare il gesto collegandolo, appunto, alla scomparsa della cugina. Fortunatamente i farmaci che aveva assunto erano insufficienti a provocare la morte ed avevano soltanto determinato un sonno prolungato.

 

Disturbo specifico di apprendimento (DSA)

Guardando invece ai disturbi specifici di apprendimento (DSA), l’associazione tra questi e i comportamenti suicidari non risulta particolarmente indagata. I pochi articoli dedicati a questo argomento confermano come i DSA siano collegati ad un aumento del rischio suicidario sia per l’ideazione suicidaria che per i tentativi di suicidio (Bender, Rosenkrans, & Crane, 1999; Daniel et al., 2006; Wilson AM 2009).

In questo gruppo clinico le generiche difficoltà scolastiche sono una condizione che interessa tutti i 200 casi del campione. Si tratta di difficoltà che riguardano: la concentrazione, la possibilità di fare investimenti affettivi nello studio e le difficoltà relazionali con i coetanei ed insegnanti.

Christiansen E (2015) che osserva come in Danimarca il 95% degli adolescenti termina la scuola secondaria mentre gli adolescenti che hanno compiuto un gesto suicidario cadano, prevalentemente, nel 5% rimanente. La prevalenza dei DSA riguarda, invece, il 10% del campione.


Caso clinico

Daria, 12 anni, è arrivata al nostro servizio dopo un gesto suicidario caratterizzato da assunzione di farmaci (aspirina e paracetamolo) fortunatamente in quantità tali da non causare danni per la salute fisica. I famigliari sono apparsi subito molto preoccupati e consapevoli della gravità del gesto compiuto dalla figlia.

Daria si è mostrata, inizialmente, poco disponibile a parlare di sé e delle ragioni del gesto compiuto. Dai genitori siamo stati informati che la famiglia aveva subito un lutto importante due anni prima con la perdita del figlio maggiore, 5 anni più grande di Daria e che la figlia presentava importanti difficoltà scolastiche. Abbiamo trovato, con Daria, una buona alleanza terapeutica proponendole di indagare le difficoltà di apprendimento. In effetti le difficoltà emotive di Daria sembravano dipendere, in gran parte, dalle difficoltà scolastiche. Dalla valutazione si è, effettivamente, evidenziato un Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA). Per Daria la morte del fratello era stata la conseguenza di un infarto cardiaco, in realtà, il fratello si era suicidato e le principali difficoltà emotive, anche per lui, sembravano essere collegata alle difficoltà scolastiche.

I genitori avevano confermato che le difficoltà scolastiche dei due figli erano simili. Probabilmente, trattandosi di difficoltà relativamente lievi per la lettura (molto più importanti per gli aspetti di comprensione del testo scritto e di elaborazione successiva) non erano risultate evidenti come DSA e così non era stata fatta nessuna segnalazione da parte degli insegnanti. Le difficoltà di apprendimento, dei due fratelli, erano state archiviate come "scarso interesse", "scarsa motivazione verso la scuola" e genericamente "mancanza di volontà" o "pigrizia".

Per i due fratelli non possiamo semplicemente costruire una relazione diretta tra DSA e comportamenti suicidari, come sempre, gli eventi sfavorevoli, le condizioni di vita stressanti sono filtrate dalla personale resilienza. Poichè nel lavoro clinico il collegamento tra DSA e difficoltà emotive, non necessariamente comportamenti suicidari, è sempre molto importante. Bisognerebbe indagare se, almeno in alcuni casi, non vi sia anche una difficoltà nel funzionamento riflessivo connesso, in qualche modo, alle difficoltà di apprendimento. Mentre, è ben noto il collegamento tra difficoltà riflessive e difficoltà di apprendimento quando le difficoltà di apprendimento sono conseguenti a ritardo di linguaggio.


Orientamento sessuale non convenzionale

In una recente ricerca (Lucassen M.F. 2015) che ha coinvolto minori di scuola superiore in Nuova Zelanda si è osservato che minori di orientamento sessuale non convenzionale risultavano essere il 6% e che rispetto ai coetanei di orientamento sessuale tradizionale avevano un rischio maggiore di sintomi depressivi, avevano peggiori relazioni familiari e scolastiche ed una più elevata prevalenza di comportamenti suicidari.

Nel gruppo degli adolescenti studiati il 15%  riferisce un orientamento sessuale non convenzionale. In tutti i casi vi erano comunque  fattori di rischio associati: lutti, genitore affetto da disturbo psichiatrico, adozione ed elevata conflittualità intra famigliare.

Tutti i minori maschi, hanno riferito di aver subito da parte dei coetanei ostilità ed aggressioni sino al bullismo a causa del loro orientamento sessuale a cui si accompagnavano notevoli difficoltà a dichiararsi con i genitori.

 

Adozione

Una ricerca (Keyes M.A. et al 2013) svolta su un ampio gruppo di minori adottati a confronto con un gruppo di controllo ha mostrato che i tentavi di suicidio sono risultati 4 volte più frequenti nel gruppo degli adolescenti con storia di adozione. Il risultato è rimasto significativamente più elevato anche “eliminando” altri fattori di rischio presenti nel gruppo adottati.

Nella nostra casistica i minori adottati sono circa l’8% del totale. Uno di loro ha compiuto più gesti suicidari. Aveva una storia particolarmente difficile sia per le condizioni preadottive (all’età di tre anni, quando era stato adottato, presentava uno sviluppo psicomotorio di un bambino di 18 mesi) sia per le problematiche dei genitori adottivi. La madre presentava una malattia cronica esito della pregressa tossicodipendenza e grave disturbo di personalità borderline.

 

Minori migranti che raggiungono i familiari dopo separazione.

Nella nostra casistica questo è un fattore di rischio di rilevante consistenza numerica, per altro ben noto in letteratura. Le informazioni che seguono riguardano minori che hanno raggiunto i genitori dopo separazione o minori di prima generazione.

Complessivamente nella nostra casistica la prevalenza di minori migranti è intorno al 25% ma se consideriamo solo la prevalenza negli anni più recenti, quando il fenomeno migrazione è risultato in forte crescita, essa è significativamente più alta. Infatti,  abbiamo osservato che di 17 minori seguiti nel 2010 per comportamenti suicidari, 7 erano di recente arrivo in Italia e rappresentano il 41.2% mentre la percentuale di adolescenti stranieri 15-19 anni residenti a Bologna è del 13.4%. Tutti i tentativi di suicidio erano gravati da importanti conseguenze sanitarie.

 

Quando un adolescente raggiunge i genitori (o più spesso la madre), dopo una separazione perché era stato lasciato indietro nel percorso migratorio, i così detti left behind children, incontra una molteplicità di difficoltà che lo rendono, nella prima fase del suo inserimento, particolarmente fragile.

Il problema dei minori lasciati a casa dai genitori per migrazione economica (le difficoltà maggiori si registrano quando è la madre a partire) riguarda non solo migrazioni tra paesi diversi ma anche all'interno di uno stesso paese, come mostrano numerosi studi cinesi che riguardano migrazioni da aree rurali a città con i minori rimasti a casa che evidenziano, nei minori, notevoli disagi psichici ed un aumento dei tentativi di suicidio (Gao Y. et al., 2010).

Il ricongiungimento dopo una lunga separazione è spesso fonte di amare delusioni e violente reazioni. Madre e figli non si riconoscono reciprocamente e non riescono a superare le immagini idealizzate favorite dalla distanza e dalla nostalgia che sono state costruite nel tempo della lontananza. Inoltre la condizione economica e sociale del genitore è spesso assai più precaria di quanto il figlio non si sarebbe aspettato ed obbliga l'adulto ad impegnarsi molto nel lavoro e a non essere quindi così disponibile come al figlio sarebbe necessario (Pietropolli Charmet 2009). Le ricerche dedicate a minori migranti che hanno compiuto un gesto suicidario non sono molto numerose, Colucci E. e Martin G. (2007 parte 1 e 2) hanno analizzato 82 ricerche (tra il 1966 ed il 2007) dedicate alle problematiche suicidarie di minori con specifica attenzione alla dimensione etnoculturale. Tra queste non vi sono ricerche specificamente condotte su adolescenti che hanno compiuto gesti suicidari e recentemente migrati. Per altro nella review non si ricavano informazioni certe rispetto all'influenza della dimensione etnoculturale sia per i fattori di rischio che per quelli protettivi, ovvero le condizioni di rischio note per gruppi di adolescenti caucasici sono considerate parimenti significative per gruppi con caratteristiche etnoculturali diverse.

L’importanza della migrazione come fattore di rischio rispetto ai ts emerge anche dalla nostra casistica. In particolare, ricordiamo due ragazze che a memoria di tutti noi sono “i due casi più difficili” che abbiamo trattato. Si tratta di due ragazze, seguite in tempi diversi, entrambe rumene che avevano compiuto ripetuti ts.  L’analisi clinica evidenziò che l’elemento di maggiore fragilità di entrambe le ragazze era rappresentato dalla assoluta debolezza dell’identità personale e sociale conseguente alle ripetute migrazioni che avevano dovuto sopportare con le conseguenti separazioni dai genitori e le difficoltà nell’investire affettivamente gli adulti cui venivano lasciate in custodia.

 

Internet e suicidio

In letteratura abbiamo rintracciato 183 articoli dedicati a questo tema.

Ciò che viene particolarmente discusso è la possibile pericolosità di internet (Lin et al. 2014) o al contrario le possibilità offerte in termini di prevenzione e sostegno.

L'aspetto che preoccupa maggiormente è il cosiddetto “net suicidio” o “internet suicidio” caratterizzato da un patto suicidario stretto tra sconosciuti che si accordano per realizzare il loro suicidio attraverso internet.

Un altro aspetto interessante è rappresentato dal  Cybersuicide” che definisce un suicidio progettato in internet e che riguarda la possibilità di ottenere informazioni su come suicidarsi attraverso siti web dedicati.

Una ricerca Giapponese ha rilevato in proposito come la morte per monossido di carbonio sprigionato da bracieri appositamente realizzati sia aumentata negli ultimi anni e come tutte le informazioni relative siano state raccolte attraverso internet determinando nel 2005, in Giappone, 34 casi di suicidio collettivo di giovani adulti con 91 vittime, mentre, nel 2004 si erano avuti 19 casi con 55 vittime. (Mason C. 2010)

In letteratura si discute se i siti web pro suicidio possono essere causa scatenante il suicidio in minori influenzabili per loro fragilità. Molti autori rispondono affermativamente sostenendo che il suicidio è incoraggiato dal facile reperimento di informazioni su come lo si può realizzare; inoltre, viene fatto notare che vi sono siti in internet che scoraggiano l'uso di risorse sanitarie per chi soffre di disturbi psichiatrici, giustificano il suicidio e proibiscono l'ingresso nei forum di discussione a chi propone aiuti contro il suicidio.

L'Australia, nel 2006, è stato il primo paese a varare  una legge per perseguire giuridicamente i siti web pro suicidio scatenando per altro un acceso dibattito anche sull'utilità di tale decisione.

La maggioranza dei ricercatori più che sostenere la censura, per altro difficile se non impossibile da praticare, suggerisce di attivare risorse per la prevenzione del suicidio.

A questo proposito vi sono ricerche che hanno tentato di definire come rendere più efficace la prevenzione del suicidio via internet, suggerendo la costruzione di siti internet ricchi di informazione; oppure, vi sono studi che hanno valutato la positiva efficacia di interventi di prevenzione via chat.

Un interessante articolo (Litwiller BJ 2013) indaga la relazione tra la tendenza ad esercitare bullismo da parte di adolescenti sia nella forma tradizionale che attraverso internet “Cyberbullismo”  e comportamenti suicidari. Sugli stessi soggetti è stata valutata anche la propensione a comportamenti violenti, l’uso di sostanze e comportamenti sessuali a rischio. La ricerca si basava su un ampio numero di adolescenti (4693 di età media 16 anni e 475 femmine) aveva evidenziato che la presenza di tutti i comportamenti segnalati era associata a comportamenti suicidari.

Nella nostra casistica non risultano casi di internet suicidio mentre sono il 5% i casi di cybersuicide.

Sono invece numerosi i casi di ts con cyberbullismo che arrivano a circa il 15%.

Riportiamo di seguito due casi nei quali i mezzi di comunicazione digitale sono stati fattori precipitanti del gesto suicidario.

I casi di Barbara e Rita

Barbara, 17 anni, aveva compiuto un tentativo di suicidio per ingestione di detersivo. La ragazza ha spiegato che considerava il suo gesto più che un tentativo di suicidio, un modo per mettere fine ad una condizione esasperante che stava vivendo da qualche mese.

Aveva conosciuto un ragazzo, Giovanni, in una chat e dopo un periodo intenso di conversazioni avevano deciso di trasformare la loro conoscenza in una relazione affettiva virtuale almeno fino a quando i due non fossero riusciti ad incontrarsi, poiché abitavano a molta distanza la possibilità di incontrarsi era rimandata all'estate. Nel frattempo la loro relazione virtuale è diventata sempre più intensa. Per desiderio del ragazzo, Barbara doveva rimanere prevalentemente a casa, sempre pronta a chattare e quando era costretta ad uscire doveva essere sempre disponibile con il cellulare.

La ragazza inizialmente ha accettato tutte le pretese di Giovanni, lusingata e sorpresa da tanto interesse, ma il ragazzo, nel tempo, è diventato sempre più insistente, fino a pretendere che Barbara non uscisse di casa neppure per andare a scuola. Al rifiuto, sofferto, di Barbara, Giovanni aveva minacciato di uccidersi per lei.

Di fronte ad un'ennesima crisi di gelosia di Giovanni ed alle sue rinnovate minacce suicidarie, Barbara  reagì dicendo: “tu dici di suicidarti ma io lo faccio davvero”  andò a prendere del detersivo liquido e ne bevve, per fortuna, solo una piccola quantità.

Rita, 16 anni, una ragazza bellissima, intelligente, brava a scuola, ben inserita in un ricco contesto di relazioni sociali ha cercato di mettere fine alla sua vita saltando dalla finestra della sua camera al terzo piano. Le conseguenze sono state disastrose ma si è salvata. Il ragazzo con il quale aveva avuto una relazione affettiva, quando lei aveva deciso di interromperla, l’aveva minacciata di pubblicare su un social network le foto e i momenti intimi di un loro rapporto. Rita non aveva sopportato che queste immagini potessero essere messe a disposizione di tutti e la vergogna l’aveva spinta a farla finita.

 Imitazione e il fenomeno dei mass-media

Vi è accordo generale sul fatto che è assolutamente necessaria un’informazione responsabile da parte dei mass media sugli eventi che accompagnano un gesto suicidario in modo da non ridurre la persona all’evento. In questo senso vanno le indicazioni dell’OMS (World Health Organization, 2000) che invitano ad evitare ogni sensazionalismo nei titoli della notizia ad usare il temine “morte” e non “suicidio” nei titoli e soprattutto a comunicare le possibili difficoltà che caratterizzavano la vita della persona. In sostanza, l’invito è a non spettacolarizzare questi eventi, ma a rispettare le persone e a valorizzare i supporti sociali e sanitari a cui si può ricorrere nei momenti di maggiore difficoltà.

In questo modo i mezzi di comunicazione possono avere un ruolo attivo nella prevenzione del suicidio.

Fattori di rischio biologici

Sono 3 le linee di ricerca:

1)      Valutazione dei metaboliti della serotonina nel liquido cerebrospinale, il metabolite 5-HIAA risulta più basso in chi è morto per suicidio ma anche in chi ha una storia di tentativi di suicidio gravi. Quindi ci sono alcune evidenze che questo 5-HIAA basso sia predittivo di rischio suicidario. (Pan et al. 2011, 2013)

2)      Valutazione di una ridotta presenza del recettore della serotonina 5-HT2A e dei trasportatori della serotonina nella corteccia prefrontale. Entrambi sono coinvolti nello sviluppo della depressione ma possono essere anche rilevati in modo indipendente dalla depressione. Deficit nell’area prefrontale sono associati ad impulsività sotto stress. (González-Castro 2013)

3)      Valutazione degli aspetti genetici che avrebbe evidenziato una associazione fra suicidio e caratteristiche genetiche relative alla codifica del trasportatore della serotonina (5-HTT) e della sintesi del triptofano idrosilasi (TPH). Per altro ricerche svolte per confermare queste ipotesi hanno trovato poche conferme. (Schild et al 2013)

Inoltre recentemente sono comparsi  molti studi che mostrano un’alterazione della risposta della prolattina in specifiche stimolazioni di laboratorio in soggetti con tendenza suicidale. Altre indagini riguardano anche il coinvolgimento della noradrenalina e della dopamina in soggetti a rischio suicidario.


Dalla rete suggerimenti anche in lingua originale

L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidemia nascosta
A cura di Ruth A. Lanius, Eric Vermetten, Clare Pain                                               Tradotto da C. Giampà Edizione italiana a cura di G. Tagliavini

Il collegamento rimanda alla presentazione del libro edito da Giovanni Fioriti. Di seguito un brevissimo estratto dalla presentazione:

...............     Gli eventi traumatici nei primi anni d'infanzia non vengono persi, ma piuttosto vengono conservati per tutta la vita, come le impronte di un bambino nel cemento fresco. Il tempo non cura le ferite che avvengono in quei primi anni: il tempo le nasconde solamente. Non vengono perse, diventano parte del corpo. Solo negli ultimi decenni abbiamo iniziato a riconoscere e comprendere l'ampiezza del problema di esseri umani danneggiati nel loro sviluppo. I limiti di questa comprensione, e le resistenze ad essa, sono ben delineate nel titolo di questo libro “L'Epidemia Nascosta”.    .........................


http://samaritansnyc.org/know-the-warning-signs/

Most health experts agree that the key to determining whether an individual is in distress, depressed, in crisis or at-risk for suicide (and, if so, to what degree) is by identifying his or her warning signs, risk and protective factors associated with suicide. It is important to take all warning signs seriously and engage appropriate help and support.

Warning Signs

Warning signs are indications that someone may be at imminent risk for suicide (immediately or in the near future). The more warning signs someone shows, the greater the risk of suicide. Some of the affects, behaviors and actions that are often related to an individual experiencing suicide ideation are:

  • Extreme mood swings or changes in personality
  • Changes in eating and sleeping habits (such as sleeping too little or all the time)
  • A heightened fixation with death or violence
  • Expressing feelings of hopelessness or no reason to live
  • Engaging in self-destructive or risky behavior
  • Withdrawl from loved ones, friends and community
  • Announcing a plan to kill one’s self
  • Talking about or writing about hurting one’s self, wanting to die or kill one’s self
  • Giving away prized possessions
  • Obtaining a weapon or some other means of hurting one’s self
  • Increased use of alcohol or drugs
  • Telling people he or she is ‘going away’
  • Loss of interest in things one used to care about
  • Being a victim of bullying, sexual abuse, violence
  • For youth, a sudden worsening of school performance
  • For youth, indications that the teen is in some form of an abusive relationship
  • Saying things like:
“I wish I were dead.”
“I’m going to end it all.”
“You will be better off without me.
What’s the point of living?
Soon you won’t have to worry about me.
Who cares if I’m dead, anyway?



Centers for Disease Control and Prevention. CDC twenty four seven. Saving Lives, Protecting People

Altro da: http://www.cdc.gov/violenceprevention/suicide/riskprotectivefactors.html

Risk Factors for Suicide

A combination of individual, relationship, community, and societal factors contribute to the risk of suicide. Risk factors are those characteristics associated with suicide—they might not be direct causes.

Risk Factors

  • Family history of suicide
  • Family history of child maltreatment
  • Previous suicide attempt(s)
  • History of mental disorders, particularly clinical depression
  • History of alcohol and substance abuse
  • Feelings of hopelessness
  • Impulsive or aggressive tendencies
  • Cultural and religious beliefs (e.g., belief that suicide is noble resolution of a personal dilemma)
  • Local epidemics of suicide
  • Isolation, a feeling of being cut off from other people
  • Barriers to accessing mental health treatment
  • Loss (relational, social, work, or financial)
  • Physical illness
  • Easy access to lethal methods
  • Unwillingness to seek help because of the stigma attached to mental health and substance abuse disorders or to suicidal thoughts

Additional Resources


This supplement provides The Canadian Journal of Psychiatry readers with 6 articles in clinical research about protective factors of suicidal behaviours in adolescents, while also considering depression and borderline personality disorder (BPD), 2 psychopathologies commonly associated with these behaviours. Wishing to disseminate their research findings in North America, authors from France and Quebec wrote their papers in English. This supplement is the result of a Franco–Quebecer academic cooperation started in 2005 at the Clinique des troubles de l’humeur of Rivière-des-Prairies Hospital (Université de Montréal). It was carried out in France with the Service de psychiatrie de l’enfant et de l’adolescent of l’Hôpital Pitié-Salpêtrière (Université Pierre et Marie Curie), Centre Hospitalo-Universitaire in Rouen (Université de Rouen), Centre Hospitale in Rouvray, and Centre Hospitalo-Universitaire in Amiens (Université de Picardie Jules Verne) and in Quebec with the Depressive Disorders Program of Douglas Mental Health University Institute (McGill University) and Clinique réseau jeunesse of Institut Philippe-Pinel (Université de Montréal).

This child psychiatry network dealing with suicidal behaviours and associated pathologies was funded, from 2006 to 2012, by the Commission permanente de coopération Franco-Québécoise (Franco–Quebecer cooperation standing commission). It was managed in Quebec and France by Professors Jean-Jacques Breton, David Cohen, Réal Labelle, and Jean-Marc Guilé. This network allowed for student exchanges, measure instrument sharing and validation, national and international scientific communications, and finally, a research data collection in Quebec and France, where it was facilitated by Professor Priscille Gérardin.

But why this interest for protective factors in depression, BPD, and suicidal behaviours in adolescents? Three reasons guided this search:

  1. a concern for promoting a more valid approach in child psychiatry, which would target all factors affecting mental disorder, as protective factors and risk factors are closely related1;
  2. depression has become the main cause of incapacity worldwide2;
  3. and depressive disorders chronicity raises a concern about recurrence as early as illness onset, anticipating a positive impact from interventions on protective factors, although we do not yet have conclusive findings.

A stress-vulnerability-resilience model, where risk factors contribute to stress vulnerability while protective factors promote resilience is proposed in the first article3 by the Clinique des troubles de l’humeur team at Rivière-des-Prairies Hospital. Risk variables are stressful life events depression, hopelessness, and nonproductive coping strategies, while protective variables include productive coping strategies, reasons for living, and spirituality. This first article based on Quebec data outlines the present pattern of interactions between different risk and protective factors in adolescents experiencing stressful events, taking sex into account. Results are generally as expected but are meaningful only when protective factors measure instruments are valid.4 The work done on psychometric qualities in French versions of the Adolescent Coping Scale, the Reasons for Living Inventory for Adolescents, and the Spirituality Scale is the subject of the second article4 by Quebec colleagues, which addresses the rationale for choice of instruments, as well as the construct reliability and validity, and the convergence validity that have shown to be appropriate.

Our French colleagues have conducted 3 studies of inpatient adolescents with a suicide attempt in 5 French pediatry units. This is a high-risk clinical population. The multicentre study is part of a longitudinal perspective, specifically relevant for appraising the suicidal risk evolution, as well as the post-hospitalization impact of management strategies. The evaluation of these strategies will be presented in later publications. Colleagues in Groupe Hospitalier Pitié-Salpêtrière propose an explanatory model predicting suicidal risk, 6 months after hospitalization for a suicide attempt.5 Beyond the risk factors burden, a protective factor emerges: working hard to succeed. Findings on spirituality differ from those observed in Quebec, which raises an interesting discussion on this concept between France and Quebec authors.

Two articles6,7 where coping is targeted as a protective factor for inpatient adolescents with a suicide attempt follow. The team at Centre Hospitalo-Universitaire de Rouen shows clearly that productive coping strategies are associated with lower depression scores. Focusing on a positive strategy is protective of depression and suicidal ideas, as it is in Quebec. Moreover, colleagues at Centre Hospitalo-Universitaire d’Amiens shed new light on suicidal adolescents with a BPD. Results meet expectations for adolescents with or without a BPD, but the problem-solving strategy is associated with the presence of suicidal ideas immediately following the suicide attempt.

The supplement ends with a research paper on a fundamental aspect of clinical research, conducted at the Depressive Disorders Program of Douglas Mental Health University.8 The inter-informant agreement on internationally used measures detecting mental health problems is evaluated. These measures are the Child Behaviour Checklist (CBCL) and the Youth Self-Report (YSR). The agreement between adolescents (YSR) and their parents (CBCL). Our colleagues show that this agreement between them varies based on sex, age, and skill type.

To conclude, the clinical reality of a depressed and suicidal adolescent is indeed complex. The supplement authors wish that their contribution from different angles of protective factors will allow readers to increase their knowledge, deepen their thoughts, and be inspired.

Both Guest Editors sincerely thank The Canadian Journal of Psychiatry Editors-in-Chief and Canadian Psychiatric Association Director of Scientific Publication for their understanding and their constant support in the making of this supplement.

References

1. Rutter M. Resilience as a dynamic concept. Dev Psychopathol. 2012;24(2):335–344. [PubMed]
2. World Health Organization (WHO) Facts sheet 369, depression [Internet] Geneva (CH): WHO; 2012. Available from: http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs369/en/.
3. Breton JJ, Labelle R, Berthiaume C, et al. Protective factors against depression and suicidal behaviour in adolescence. Can J Psychiatry. 2015;60(2 Suppl 1):S5–S15. [PMC free article] [PubMed]
4. Labelle R, Breton JJ, Berthiaume C, et al. Psychometric properties of three measures of protective factors for depression and suicidal behaviour among adolescents. Can J Psychiatry. 2015;60(2 Suppl 1):S16–S26. [PMC free article] [PubMed]
5. Consoli A, Cohen D, Bodeau N, et al. Risk and protective factors for suicidality at 6-month follow-up in adolescent inpatients who attempted suicide: an exploratory model. Can J Psychiatry. 2015;60(2 Suppl 1):S27–S36. [PMC free article] [PubMed]
6. Mirkovic B, Labelle R, Guilé JM, et al. Coping skills among adolescent suicide attempters: results of a multisite study. Can J Psychiatry. 2015;60(2 Suppl 1):S37–S45. [PMC free article] [PubMed]
7. Knafo A, Guilé JM, Breton JJ, et al. Coping strategies associated with suicidal behaviour in adolescent inpatients with borderline personality disorder. Can J Psychiatry. 2015;60(2 Suppl 1):S46–S54. [PMC free article] [PubMed]
8. Mbekou V, MacNeil S, Gignac M, et al. Parent-youth agreement on self-reported competencies of youth with depressive and suicidal symptoms. Can J Psychiatry. 2015;60(2 Suppl 1):S55–S60. [PMC free article] [PubMed]