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Introduzione

Che cosa sappiamo dello spettro dei comportamenti suicidari in adolescenza?


Sappiamo che è un problema complesso e che sono numerose le domande che possono essere poste e differenti le risposte che si possono dare. Sappiamo specialmente che di fronte ad una crisi suicidaria di un adolescente, familiari, insegnanti e operatori della salute mentale vengono colti spesso di sorpresa e provano un senso di smarrimento. Sappiamo che è difficile definire i comportamenti suicidari da un punto di vista nosografico e che è difficile stabilirne la reale frequenza. Vi sono inoltre varie ipotesi rispetto alla comprensione del fenomeno e idee diverse sulla relazione fra psicopatologia e comportamenti suicidari. Nonostante ogni crisi suicidaria abbia delle caratteristiche che la contraddistinguono, vi sono alcuni elementi comuni che ci permettono di proporre generali riflessioni per la prevenzione e il trattamento.

Sappiamo, inoltre, che il tentato suicidio, con la sua elevata prevalenza, è riconosciuto come una grave emergenza sanitaria. Un gesto suicidario esprime uno stato di profonda sofferenza e considerando la relazione che esiste tra tentato suicidio e suicidio aumenta il rischio di morte prematura. Infatti, 6 suicidi su 10 sono preceduti da un tentativo e il 40% dei ragazzi che tentano il suicidio ripete il gesto (Dati OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità); dopo un tentativo di suicidio, stime attendibili indicano un aumento del rischio di morte prematura di 15 volte per il sesso maschile e di 9 volte per il sesso femminile. Il suicidio rappresenta la prima causa di morte tra i ragazzi dai 15 ai 25 anni in molti paesi come Francia, Inghilterra e Stati Uniti; in Italia è la seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali. Inoltre è un fenomeno in crescita: negli USA i morti per suicidio tra i 15 e i 19 anni sono raddoppiati tra il 1960 ed il 2001 ed anche in Italia si rileva un costante incremento in adolescenza (Guaiana 2002), mentre per la popolazione adulta il dato è stabile dal 1986 (Levi 2003).

Peraltro, come segnala Hawton (2003), anche la prevalenza del tentato suicidio tra i 15 e i 24 anni è un fenomeno in crescita.

Stabilire la prevalenza del tentato suicidio risulta, comunque, problematico. In un precedente lavoro, al quale rimandiamo per approfondimenti, abbiamo evidenziato come i dati raccolti presso i centri sanitari siano sottostimati, (sia per vergogna sia perché solo il 30% degli adolescenti ricorre a cure sanitarie dopo un tentativo di suicidio); i dati raccolti con self report anonimi, che pure hanno il rischio di sovrastimare il fenomeno, sono ritenuti in letteratura degni di attenzione e risultano allarmanti. Nella città di Bologna abbiamo valutato la prevalenza avvalendoci della somministrazione di un complesso self report a 517 adolescenti di scuola media superiore, che è infine risultata essere di circa il 6% (3). Da questi dati deriverebbe, in via ipotetica, considerando la popolazione di età tra i 15 ed i 18 anni nel comune di Bologna, una prevalenza di tentati suicidi di circa 397 casi annui (263 femmine per le quali si stima una prevalenza del 6%; 134 maschi per i quali si stima una prevalenza del 3%). Risulta particolarmente importante considerare queste stime per approntare progetti di prevenzione che tengano conto della effettiva incidenza del fenomeno che comprende un insieme di manifestazioni, che partono dall’ideazione fino al suicidio realizzato passando attraverso minacce suicidarie e tentativi di suicidio. Da sottolineare, inoltre, che l’intervento terapeutico su chi ha commesso un primo tentativo di suicidio, prevenzione secondaria, è la strategia di prevenzione del suicidio di maggior successo.

Spettro dei comportamenti suicidari

Ideazione suicidaria, comportamento suicidario e suicidio realizzato, possono essere considerati all’interno di uno spettro che va dai pensieri passivi di morte (desiderio di essere morti o non più vivi)  a quelli attivi (rappresentazione delle modalità con cui darsi la morte, elaborazione di un vero e proprio progetto suicidario), sino alla messa in atto del comportamento suicidario, anche questo graduato secondo livelli di gravità, dalla autolesione più o meno grave al suicidio portato a termine.

Nel corso della valutazione clinica, è di particolare importanza valutare dove si trova il paziente lungo questo continuum, poiché il livello di suicidalità, stabilito in riferimento agli elementi sopra citati,  è un fattore molto significativo nella valutazione del rischio.

Rispetto al comportamento suicidario è bene considerare anche la ‘letalità’ del gesto. Per letalità del comportamento suicidario si intende il danno fisico riportato in seguito al metodo utilizzato: la letalità varia da nessun danno fisico o danni fisici moderati, alla morte.

E’ importante considerare anche la ‘letalità potenziale’ del gesto, intendendo con questo termine il comportamento potenzialmente letale anche in assenza di danni fisici. In età evolutiva, un limite rispetto alla valutazione della letalità del gesto suicidario è dato dal fatto che a volte gli adolescenti non hanno una conoscenza adeguata rispetto alla pericolosità del metodo scelto, specialmente quando vengono assunti farmaci o altre sostanze, e quindi può non esserci una relazione diretta fra intenzionalità e letalità. L’intenzionalità può essere alta e la letalità del mezzo utilizzato bassa per mancanza di conoscenza; un minore ci ha riferito, ad esempio,  che pensava che 3 aspirine potessero causare la morte.