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Definizioni

Quanto segue è stato liberamente tradotto dal libro:
Suicidal Behavior in Children and Adolescents
Barry M. Wagner
Yale University Press; 1 edition (October 27, 2009)
libro wagner
Sono stati, inoltre utilizzati gli articoli citati nella bibliografia in fondo


Definizione del comportamento suicidario


Suicido ( a volte definito anche come “suicidio completo”) può essere definito come: “ morte conseguente ad un gesto inflitto su se stessi con l’intento di uccidersi” (Rosemberg 1988)
Questa definizione appare un po’ semplice e forse richiede due ulteriori precisazioni:

  • la morte è stata autoinflitta e non causata da qualcun altro o qualcosa d’altro
  • che il deceduto desiderasse che la sua azione determinasse il decesso.

Questo secondo aspetto è spesso difficile da determinare specialmente quando ci trova a discriminare tra comportamenti al limite. Molti pubblici ufficiali che devono stabilire la causa di morte se vi è un margine di dubbio preferiscono, per evitare stigmate negative, scrivere causa di morte indeterminata piuttosto che suicidio tanto che si ritiene che le cause di morte per suicidio siano sottostimate per una percentuale del 10-50%.
Tentati suicidi non fatali
Definizioni da O’Carroll et al. 1996 poi riprese da molti autori successivamente.
Per Tentato suicidio gli autori intendono “comportamenti potenzialmente pericolosi verso se stessi, senza conseguenze fatali, per i quali c’è l’evidenza (esplicita e/o implicita) che la persona intendeva a un qualsiasi livello (non zero) uccidersi”.
Un tentativo di suicidio può o meno risultare lesivo.
Gli autori distinguono i tentativi di suicidio dai comportamenti suicidari (connessi al suicidio) strumentali (IRSB) che essi definiscono come “comportamenti potenzialmente autolesivi per i quali c’è l’evidenza (esplicita e/o implicita) che a) la persona non intendeva uccidere se stessa e (b) la persona intendeva utilizzare l’apparente intento suicidario per altre finalità (ad es. per chiedere aiuto, per punire altri, per ricevere attenzioni)”. La distinzione chiave è che nel tentato suicidio c’è un minimo intento suicidario, mentre nel IRSB l’intenzione non è di morire ma il raggiungimento di altri obiettivi.
Esempio di un adolescente che dopo un litigio con la madre, prende diverse pillole dall’armadietto dei medicinali, torna in soggiorno e le assume davanti ai famigliari.
Lo scopo di questo comportamento non è quello di morire ma di raggiungere altre comunicazioni che l’adolescente non si sente in grado di fare in modo più diretto: sofferenza emotiva, frustrazione, o rabbia come rappresaglia a comportamenti percepiti come inadeguati.
Parasuicidio:
termine più utilizzato in Europa, preferito a “tentativo di suicidio”.
Il termine fa riferimento a tutte le manifestazioni di comportamenti suicidari non fatali, indipendentemente dal livello di intenzione suicidaria e dalle conseguenze o meno sanitarie del gesto.
Negli Stati Uniti il termine invece ha un significato più ristretto ed indica comportamenti suicidari di basso intento suicidario per certi aspetti simili ai ISRB.
Autolesionismo (Auto-mutilazioni):
sono altri comportamenti autodistruttivi, considerati da molti come rientrare nell’ambito dei comportamenti parasuicidari ma forse meglio valutabili, come manifestazioni, se considerati come distinti.
In questo caso il comportamento autolesionistico riguarda parti del proprio corpo.
L’autolesionismo può essere molto grave nel caso di pazienti psicotici con automutilazioni, ma nella maggioranza dei casi si tratta di lesioni superficiali.
Similmente alle manifestazioni ISRB l’intento suicidario risulta assente in molti episodi ma a differenza delle ISRB chi compie il gesto non lo presenta come comportamento suicidario.
Ciò nonostante, osservatori ritengono che i comportamenti autolesivi contengano intenti suicidari, e nello stesso tempo ci sono ambiguità – spesso intenzionali tra le persone giovani – se il loro comportamento autolesivo era o meno espressione di desiderio di morte.
L’autolesionismo è una manifestazione non rara in adolescenza, la prevalenza è intorno a  1.5% - 2.0 % di tutta la popolazione adolescenziale ed è più frequente tra le femmine piuttosto che tra i maschi. Le forme più comuni sono tagliarsi o incidersi sugli arti, polso, gamba, con oggetti taglienti (rasoio, coltello, forbici, vetro), riaprire ferite, provocarsi bruciature (es. con sigarette). L’autolesionismo tende ad essere ripetitivo e sembra avere il significato di regolazione emotiva.
Il comportamento può essere messo in atto in occasione di esperienze stressanti.
Molti adolescenti autolesionisti riferiscono di non provare alcun dolore in occasione dell’autolesionismo.
In certi casi il fatto di provare dolore risulta rassicurante. In particolare per persone affette da Disturbo di Personalità Borderline (BPD) il provare dolore può mettere fine ad uno stato di estraneità, depersonalizzazione, permettere loro di riacquistare contatto con se stessi mettendo fine al senso di estraneità.
Controversie sulle definizioni
Può non essere facile trovare accordi sulle definizioni, cosa che può avere ripercussioni significative nel caso di ricerche. A questo proposito sono state svolte ricerche proponendo vignette cliniche a clinici all’inizio della professione, clinici esperti (non specificamente di TS), a clinici esperti di TS. Con sorpresa dei ricercatori non è stato trovato un accordo nelle definizione all’interno di tutti i gruppi intervistati.
Per altro può essere particolarmente difficile stabilire come definire un comportamento clinico. Ad esempio è stata presentata la storia di un ragazzo che dopo essere stato picchiato dal padre ubriaco ha raggiunto un magazzino isolato, con una fune ha fatto un nodo scorsoio e infilato nel collo e poi ha cercato dove attaccare la corda ma non è riuscito a trovare una trave o altro di adatto. Dopo un po’ di tempo ha desistito.
Come definire questo comportamento?
Sappiamo che il tentato suicidio è caratterizzato alla fine da due componenti: intento suicidario e letalità del metodo.
Alcuni clinici hanno ritenuto che non si sia trattato di un tentativo di suicidio (50%) perché non è stato portato a termine mentre per altri lo è stato. Un clinico particolarmente esperto lo ha definito come un “suicidio fallito”.

Più recentemente è stata proposta una revisione della nomenclatura relativa ai comportamenti suicidari
(
Morton M. Silverman et al. 1- 2007 e Morton M. Silverman et al 2 - 2007)

Lo spettro dei comportamenti suicidari è stato diviso in tre aree: comportamenti dello spettro suicidario senza intenzione suicidaria definiti come autolesionismo;  poi comportamenti dello spettro suicidario senza chiara o nota intenzione suicidaria, l’atto viene definito come far parte dei Comportamenti dello spettro suicidario indeterminato. Se invece l’intento suicidario era presente in qualsiasi grado il comportamento viene definito come Tentativo di suicidio.

  • Autolesionismo
  • Comportamento dello spettro suicidario indeterminato
  • Tentativo di suicidio

Tutte e tre le categorie vengono poi distinte per la presenza o meno di conseguenze sanitarie (lesioni ecc.) o morte.
Così vi è il tipo 1 (senza conseguenze sanitarie) ed il tipo 2 (con conseguenze sanitarie) per i gesti autolesivi, per i comportamenti indeterminati dello spettro suicidario e per i tentativi di suicidio.

  • Autolesionismo  tipo I o II
  • Comportamento dello spettro suicidario indeterminato tipo I o II
  • Tentativo di suicidio tipo I o II

Gesti autoinflitti che determinano la morte vengono definiti Suicidio se c’è evidenza di intento suicidario se non c’è intento suicidario vengono definiti Morte autoinflitta non intenzionale o se non è possibile stabilire o meno l’intenzionalità si parlerà di morte autoinflitta con intento indeterminato.
In questa nuova definizione dei comportamenti dello spettro suicidario i comportamenti in passato definiti come Comportamenti suicidari strumentali vengono oggi definiti come “Gesti autolesivi di tipo I o II” senza conseguenze sanitarie (I) o con conseguenze sanitarie (II).
Il temine Ideazione suicidaria viene definito come “ogni pensiero riferito a comportamenti inerenti lo spettro suicidario”.
Nella pratica clinica domande come “Pensi più spesso che usualmente alla morte o a morire?” “Hai desiderato di essere morto” “Pensi che la tua famiglia potrebbe stare meglio senza di te” sono incluse in molti self report che riguardano la valutazione dell’ideazione suicidaria.
Queste domande sono considerate valutare l’IS passiva in contrasto con domande che indagano un intento più attivo come “Hai dei pensieri rispetto al suicidio o ad uccidere te stesso?” ed ancora “Hai un progetto per come ucciderti”.
Nella nuova nomenclatura non viene ridefinita l’IS e si lascia spazio ad un ampio spettro di IS.

L’ideazione dello spettro suicidario si distingue in: con intento suicidario, senza intento suicidario e con un intento suicidario indeterminato; ogni categoria è poi divisa ulteriormente in 5 tipi di ideazione (occasionale, transitorio, persistente, attivo e passivo).

Minacce suicidarie e piani

Il fatto di avere un piano suicidario è spesso indagato nei questionari che valutano l’IS. Per altro è spesso considerato un fattore di rischio suicidario di maggior rilevanza rispetto alla semplice IS.
Ugualmente le minacce suicidarie sono incluse nei self report che indagano l’IS ma anche indagate separatamente.
Nella nuova proposta di classificazione viene suggerito di includere piani e minacce suicidarie come “Comunicazioni dello spettro suicidario” fatto da persone che possono avere o non avere intento suicidario (o l’intento è indeterminato) e che non si manifesta con un passaggio all’atto o meglio conseguenze sanitarie (danni).
Essi definiscono le minacce suicidarie come “ogni azione interpersonale, verbale o non verbale, senza una componente autolesiva, che può essere percepita da un osservatore come una comunicazione di un comportamento suicidario o che suggerisce che un comportamento suicidario può verificarsi nel prossimo futuro”.
“Minacce suicidarie” sono state assimilate anche a comportamenti manipolativi finalizzati a spaventare gli altri senza avere realmente l’intenzione di suicidarsi.
Questa interpretazione è però poco utile, infatti molti adolescenti con le loro minacce mandano un segnale d’ allarme rispetto al rischio che la loro sicurezza sta correndo.
Tanto che le minacce suicidarie possono rappresentare un’occasione importante per interventi di prevenzione.
Per progetto suicidario si intende “il riproporsi un metodo per portare a termine un progetto che potenzialmente può condurre a lesioni personali; una formulazione organizzata (sistematica) di un progetto d’azione che ha come scopo potenziale l’autolesionismo.”
Non tutti i soggetti che minacciano o dichiarano piani suicidari hanno chiari intenti suicidari tanto che possono essere distinti in: Tipo I (senza intento suicidario); Tipo II (con intento suicidario non certo – indeterminato-); Tipo III (con certo intento suicidario).

-O'Carroll PW, Berman AL, Maris RW, Moscicki EK, Tanney BL, Silverman MM. Beyond the Tower of Babel: a nomenclature for suicidology..Suicide Life Threat Behav. 1996 Fall;26(3):237-52.

-Rosenberg ML, Davidson LE, Smith JC, Berman AL, Buzbee H, Gantner G, Gay GA, Moore-Lewis B, Mills DH, Murray D, et al. Operational criteria for the determination of suicide J Forensic Sci. 1988 Nov;33(6):1445-56.)

- Silverman Morton M., MD, Alan L. Berman, PhD, Nels D. Sanddal, MS,
Patrick W. O’Carroll, MD, MPH, and Thomas E. Joiner, Jr., PhD
Rebuilding the Tower of Babel: A Revised Nomenclature for the Study of Suicide and Suicidal Behaviors
Part 1: Background, Rationale, and Methodology
Suicide and Life-Threatening Behavior 37(3) June 2007 pag 248-263

- Silverman Morton M., MD, Alan L. Berman, PhD, Nels D. Sanddal, MS,
Patrick W. O’Carroll, MD, MPH, and Thomas E. Joiner, Jr., PhD
Rebuilding the Tower of Babel: A Revised Nomenclature for the Study of Suicide and Suicidal Behaviors
Part 2: Suicide-Related Ideations, Communications, and Behaviors
Suicide and Life-Threatening Behavior 37(3) June 2007 pag 264-277