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RELAZIONE PRESENTATA AL CONVEGNO: "AGGRESSIVITA' E DISPERAZIONE NELLE CONDOTTE SUICIDARIE", PADOVA 4-6 GIUGNO 1998


Il tentativo di suicidio nell'infanzia e nell'adolescenza: primi dati relativi alla Città di Bologna

Giancarlo Rigon°, Stefano Costa*, Michela Tugnoli°°, Daniele G. Poggioli**
° Primario di NPI AUSL Città di Bologna.
*Medico specializzando in NPI, Università di Bologna, frequentatore presso il Servizio di NPI AUSL Città di Bologna.
°°Psicologa frequentatrice presso il Servizio di NPI AUSL Città di Bologna
**Aiuto NPI Ospedale Civile Rimini

 

Introduzione    Scopo della ricerca    Metodo    Risultati    Tabella 1  Dati inerenti il PS Pediatrico di Bologna  Dati del pronto soccorso di Rimini  Tabella 2    Tabella 3   Aspetti  epidemiologici   Tabella 4    Tabella 5    Conclusioni     Bibliografia

Introduzione

"Per molti motivi, per lo più incomprensibili, gli adulti preferiscono credere che i bambini non si suicidino….Una delle difficoltà ad accettare il suicidio infantile nasce dal fatto che le azioni in questa direzione vengono facilmente interpretate come incidenti…." (1) così scrive Israel Orbach (1988) che da più di 20 anni si occupa di suicidio di bambini e adolescenti. Queste considerazioni spiegano perchè lo studio del tentato suicidio in età evolutiva è estremamente difficoltoso e lo confermano, da un lato una scarsità nei dati presenti in letteratura e, dall'altro, la complessità dell'esecuzione di uno studio sperimentale.
Le rilevazioni di tentato suicidio sono molto rare, soprattutto nell'età della prima e seconda infanzia; per questa ragione nell'analisi dei dati che seguiranno è opportuno considerare ciò che lo stesso Freud (1901) aveva messo in evidenza, ovvero che "…molte lesioni apparentemente casuali che colpiscono tali malati [gravi psiconevrosi], in realtà sono autolesioni, inquantochè una tendenza all'autopunizione costantemente in agguato,…. sfrutta abilmente una situazione esteriore offerta dal caso, o vi concorre…Fatti del genere non sono per niente rari anche in casi di media gravità, ed essi tradiscono la parte spettante all'intenzione inconscia mediante una serie di tratti peculiari, per esempio mediante la sorprendente calma che i malati conservano nella pretesa disgrazia." (2)

 Seguendo questa impostazione, di fronte al dato di comune rilievo che nei bambini piccoli non vengono solitamente rinvenute lesioni autoprovocate che possano far pensare ad un tentativo di suicidio così come ce lo si raffigura per le età successive, per l'adolescenza ed in età adulta, risulta fondamentale interpretare questo fenomeno come pure i dati clinici che verranno esposti, in chiave di "aggressività".
Questa chiave di lettura acquista particolare significato se pensiamo che, secondo il pensiero di Willi Hoffer (1955), il bambino è naturalmente protetto dal rivolgere contro se stesso l'aggressività: "Nel lattante l'azione della barriera del dolore, che inizialmente serve, fino a un certo punto, come protezione contro il danneggiarsi o l'autodistruttività, è rinforzata dal progressivo investimento libidico del corpo… Il narcisismo infantile è dunque una protezione contro il dolore che il bambino si potrebbe autoinfliggere…Possiamo dire che il bambino che si ama non si morderà. Quando ci troviamo di fronte a bambini che si mordono è giustificato il sospetto che si tratti di casi di asimbolia del dolore o di evoluzione psicopatologica…". (3)
Anche autori come Rosenthal e Rosenthal (1984) analizzando il comportamento suicidiario di bambini dai 2 ½ ai 5 anni rinvengono una anomala quota di autoaggressività e riscontrano anche come questi bambini, in caso di lesione, piangano significativamente meno rispetto ai controlli; a questo dato viene attribuito il significato di perdita dell'investimento libidico sul proprio corpo. (4)
Per quanto riguarda i dati epidemiologici riguardanti il tentato suicidio (TS), da ricerche svolte tramite self-report (tecnica di indagine su cui saranno esposte in sede di discussione alcune nostre osservazioni), si ricavano percentuali per gli adolescenti che arrivano sino al 9%. Questi dati sono confermati da quanto segnalato dallo statunitense Center for Disease Control and Prevention che indica come la percentuale di soggetti che ha tentato il suicidio in adolescenza è pari all'8%, mentre coloro che sono ricorsi ai sanitari sono solo il 2%; monitorando soltanto i casi che si rivolgono ai presidi sanitari vi sarebbe dunque una "perdita" di circa il 6% dei casi. (5)
Mentre sono numerose le indagini rivolte agli adolescenti di età superiore ai 15 anni, sono invece scarse e dichiaratamente approssimative in difetto, le informazioni epidemiologiche, psicologiche, sociali per l'età inferiore. (6)
Uno studio sul TS di minori in età compresa tra gli 11 e 14 anni è stato eseguito da Condini e Marinig (1994) a Padova ed Udine utilizzando un protocollo comune. Il lavoro, avviato nel 1987, prevedeva una prima visita ai ragazzi/e in Pronto Soccorso, dove veniva avviato un rapporto con i loro genitori. Seguiva quindi un lavoro diagnostico e terapeutico con colloqui settimanali separati con l'adolescente ed i suoi genitori.
Gli autori hanno seguito 132 soggetti, 48 maschi e 84 femmine , con diversa distribuzione nelle varie fasce di età e con maggiore incidenza del sesso femminile intorno ai 14 anni. Solo in un 10% della casistica sarebbe presente una struttura di personalità patologica. (7)
Un'altra esperienza con finalità sia terapeutiche che di monitoraggio del fenomeno è quella descritta da Hawton e Fagg (1992); essa è stata condotta ad Oxford, Inghilterra, dove era stato costituito, all'interno dell'ospedale generale ed a stretto contatto con l'emergenza, uno staff composto da psichiatra, infermiera, assistente sociale, specificamente preparati che visitavano e valutavano tutti i casi di auto-avvelenamento, autolesionismo, e più in generale, comportamenti pericolosi oltre, ovviamente, ai tentati suicidi dichiarati per pazienti compresi tra i 10 e i 19 anni. Negli anni dal 1976 al 1989 sono stati esaminati ben 2282 casi di tentato suicidio.
Alla fine di questo importante studio gli autori giungono ad una indicazione di rilievo: la necessità di valutare direttamente ogni comportamento pericoloso od ogni incidente che presenti anche minimi dubbi sulla sua stessa natura; ciò è conseguente all'osservazione di quanto sia frequente in età evolutiva che tentati suicidi siano interpretati o presentati come incidenti. (8)
Un ultimo lavoro è stato recentemente presentato da Perulli e collaboratori: gli autori hanno riscontrato presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale di Venezia, nel 1992, 48 casi di TS in età 13-30 anni (di cui 10 fra i 13 e i 20 anni); anch'essi rilevano una tendenza alla sottovalutazione e minimizzazione del fenomeno per cui auspicano una presenza ospedaliera degli operatori del Servizio di NPI e la proposta all'adolescente e alla famiglia di colloqui di approfondimento. (9)
 

Scopo della ricerca

Obiettivo del presente lavoro è stata la valutazione dell'incidenza del TS in età evolutiva presso due sedi: il Pronto Soccorso (PS) Pediatrico di un presidio Ospedaliero dell'AUSL Città di Bologna e il Pronto Soccorso Generale dell'Ospedale Civile di Rimini; sono state inoltre studiate le modalità diagnostiche e di presa in carico dei soggetti.
 

Materiale e Metodo

Sono state consultate tutte le schede di dimissione del PS Pediatrico dell'Ospedale Maggiore di Bologna (il cui bacino di utenza comprende approssimativamente una metà della città) relative agli accessi avvenuti nel corso del 1997 (dal 1 gennaio al 31 dicembre).
Per diversi ordini di motivi non ci è ancora stato possibile eseguire la stessa rilevazione presso il PS generale dell'Ospedale di Bologna dove ha sede il PS pediatrico oggetto del nostro studio. Per la fascia 14 -18 anni, non coperta dal PS pediatrico, disponiamo però dei dati relativi all'Ospedale Civile di Rimini: sono stati analizzati tutti gli accessi al PS generale, inerenti minori, in un periodo di 11 mesi (da gennaio a maggio 1997 e da ottobre 1997 a marzo 1998); sono stati esclusi i mesi estivi per la non omogeneità dei dati di questo periodo a motivo dell'afflusso turistico.
 

Risultati e Discussione dei dati


Dati inerenti il PS Pediatrico di Bologna

Dalle schede di dimissione del PS Pediatrico di Bologna risulta che per nessun bambino in età 0-14 anni, nel 1997, è stata fatta diagnosi di tentato suicidio; anche verbalmente tutti gli operatori, pur confermando una certa sensibilità al problema e la presenza, in anni passati, di casi di TS, affermano di non avere avuto casi simili nell'anno 1997.
Su un totale di 7900 prestazioni sono state quindi analizzate tutte le lesioni accidentali di media e grave entità non provocate da causa terzi, per un totale di 943 casi.
Da queste sono state selezionate in particolare quelle lesioni che presentavano modalità peculiari che potessero suggerire una maggiore quota di auto-aggressività; sono stati così evidenziati 108 casi, 39 femmine e 69 maschi, di età media di 5 anni.
A titolo esemplificativo vengono riportate, così come descritte nelle schede del Pronto Soccorso, alcune delle lesioni accidentali che per modalità appaiono maggiormente suggestive di una peculiare auto-aggressività (tabella 1):

Tabella 1
pd1

Analizzando queste lesioni ci siamo trovati di fronte a modalità ed età molto diverse da quelle con cui solitamente viene descritto un tentativo di suicidio; nonostante ciò, ritentiamo che tali episodi sarebbero da indagare dal punto di vista psichiatrico sia per quanto riguarda le modalità di gestione dell'aggressività con superamento della "barriera del dolore", così come descritta da Willi Hoffer nell'introduzione di questo lavoro, sia perché gli autori che si sono occupati di tentato suicidio nell'infanzia descrivono episodi simili o paragonabili a quelli da noi riferiti.
Ad esempio, Rosenthal e Rosenthal (1984) riportano 16 casi di TS in bambini di età compresa fra i 2 ½ e i 5 anni (età media 3.5 anni) fra i quali un bambino che si espose deliberatamente al fuoco, 5 bambini che si misero a correre in una strada a traffico veloce ed, infine, 4 bambini che avevano ingerito farmaci, fra cui una bambina di 2 anni e mezzo che inghiottì un intero flacone di aspirine e dopo poche ore fu trovata priva di coscienza. (4) Di questo ultimo caso gli autori forniscono la descrizione che riassumiamo: la madre della bambina era appena rientrata da un breve ricovero in ospedale, ed era, inoltre, da tempo depressa. Durante la psicoterapia, nella stanza da gioco, la bambina "rimpinzava" una bambola di aspirine e poi chiedeva al terapeuta di salvarla; verbalizzava di continuo idee sulla morte e sul morire: "quando io sarò morta i dottori si prenderanno cura di me".
Anche autori come Hawton e Fagg (1992) che, come abbiamo visto, si sono occupati di bambini di 10 anni, affermano che è necessario valutare ogni comportamento pericoloso od ogni incidente che presenti anche minimi dubbi sulla sua stessa natura perché è frequente in età evolutiva che tentati suicidi siano interpretati o presentati come incidenti. (8)
Discutendo i dati riportati in tabella 1, relativi ai 7 bambini di età 1 - 4 anni, possiamo solo accennare, in questa sede, ad un complesso problema di interazione genitori-bambino all'interno del quale occorre interpretare la "trascuratezza" dei genitori come parte di quella aggressività che, da un lato provoca e dall'altro consente, che tali "lesioni accidentali" accadano.
La trascuratezza verso i bambini si traduce di solito anche in una scarsa attenzione al corpo del bambino ed ai suoi bisogni fisici ed emotivi, quindi in uno scarso investimento libidico non solo del corpo del bambino, ma anche di tutte quelle componenti e quegli aspetti del suo essere che vanno ad alimentare il narcisismo infantile.
Se, come dice Hoffer (op. cit. pag.65) "il narcisismo infantile è una protezione contro il dolore che il bambino si potrebbe autoinfliggere", possiamo sostenere che la trascuratezza dei genitori può agire nella direzione di ridurre la barriera protettiva contro "il danneggiamento o l'autodistruttività".


Dati del Pronto Soccorso di Rimini

Per valutare l'incidenza del tentato suicidio in adolescenza sono state considerate, come detto, tutte le prestazioni svolte dai colleghi del Pronto Soccorso dell'Ospedale Infermi di Rimini, per un totale di 11 mesi. Oltre alle prestazioni del Pronto Soccorso sono stati valutati gli accessi diretti al Reparto di Neuropsichiatria Infantile dello stesso ospedale, coerentemente alla metodologia usata nelle ricerche internazionali.
Sono stati raccolti tutti gli eventi dichiarati come tentato suicidio (ovvero autolesionismo ed intossicazioni volontarie), ma anche gli episodi che per le loro caratteristiche presentavano un margine di ambiguità.
Gli eventi registrati come tentati suicidi sono riportati in tabella 2.
Tabella 2
pd2

Per tutti questi casi è stata richiesta consulenza psichiatrica. La maggioranza dei casi segnalati era già conosciuta e seguita per patologie che, come si può osservare, sono disturbi della personalità, disturbi della condotta alimentare e disturbi depressivi.
Depressione e disturbi di personalità di tipo borderline sono le patologie psichiatriche di più frequente riscontro nei casi di TS; a proposito dei disturbi alimentari si può ricordare quanto scrive Jeammet (1996): " non è raro assistere al passaggio da un disturbo del comportamento all'altro; un'anoressica per esempio diventa bulimica, perde il controllo che le dava l'anoressia e, nel momento in cui diventa bulimica, ha delle manifestazioni suicidarie, molto più rare nell'anoressia che è una forma di controllo molto più forte." (10)
Tra gli episodi registrati come accidentali, perché evidentemente come tali dichiarati dagli interessati, e da noi considerati "ambigui", due in particolare ci sembra meritino attenzione e riguardano due maschi con ferite da taglio al polso sinistro, riportati in corsivo in tabella 3; gli altri casi invece riportati in tabella si avvicinano per modalità di accadimento, per come vengono riportati ai sanitari e per l'età, alle lesioni accidentali registrate al Pronto Soccorso Pediatrico di Bologna, pur non rappresentando un campione omogeneamente paragonabile perchè a Rimini esiste anche un PS Pediatrico di cui non sono stati rilevati i dati.



Tabella 3
pd3

Ci sembra importante evidenziare come, negli 11 casi di dichiarato tentato suicidio, l'età media sia ai limiti della fascia di intervento della NPI in Italia: 16,6 anni; per quanto riguarda, invece, sia i due casi, riportati in corsivo, le cui modalità di lesione ed orari di accadimento depongono fortemente per un TS, sia gli altri riportati in tabella 3, l'età media è significativamente inferiore: 12,1 anni.
Anche la distribuzione per sesso (6 maschi e 4 femmine) è coerente con i dati rilevati al Pronto Soccorso Pediatrico di Bologna e, più generalmente riportati in letteratura per questa fascia di età. Questo dato evidenzia che le lesioni dei bambini più piccoli, da un lato non vengono mai registrate come TS, dall'altro, anche come modalità, si allontanano da quelle che potrebbero realmente mettere a rischio la vita, riscontrabili invece nelle età successive e rimangono interpretabili, quindi, unicamente come atti autoaggressivi.
La motivazione di questa linea di tendenza, legata all'età, potrebbe anche essere spiegata con una non ancora completa capacità del bambino piccolo, non tanto a rappresentarsi l'idea di morte, quanto le modalità e gli strumenti adatti per provocarla.
Questa interpretazione è concorde con quanto affermato da altri autori come Leslie K. Jacobsen e collaboratori che riportano come, anche in presenza di un intento suicidario significativo, i bambini piccoli possano non riuscire a compiere atti realmente efficaci perché non in grado di comprendere pienamente il potenziale di letalità dei loro atti. (11)

Aspetti Epidemiologici

Volendo tornare ad un approfondimento di tipo epidemiologico, nella tabella 4, vengono confrontati i nostri dati, rapportati ad una popolazione in età 15-19 anni, di 100.000 ragazzi, con i risultati di alcune ricerche fra loro simili per modalità di raccolta dei dati e che rientrano in uno studio multicentrico dell'OMS (1994) sul parasuicidio. (12)

Tabella 4
pd4


Come è possibile osservare da questa tabella i risultati sono sostanzialmente sovrapponibili; nel nostro studio risulta più ampia, rispetto alla maggioranza delle ricerche, la differenza tra maschi e femmine. Le differenze che si riscontrano nella prevalenza dei TS sono legate, almeno in parte, al diverso sistema di rilevazione. Prova di ciò è l'elevato numero di casi di Oxford riferito dai già citati Hawton e Fagg (8), che dipende dalla costante attenzione a leggere tutti gli incidenti come potenziali TS sottoponendoli ad una valutazione psicologica.

 Finora sono stati considerati i casi che l'OMS denomina come parasuicidi con rilevanza sanitaria, ovvero che hanno richiesto un intervento presso un ospedale; spostando l'attenzione su strumenti diversi di rilevazione del tentato suicidio, come i self-report, ci troviamo di fronte ad una enorme discrepanza numerica: nei questionari gli adolescenti dichiarano spontaneamente ed in modo non necessariamente anonimo, di aver tentato il suicidio in percentuali che sono comprese tra il 2% ed il 5,1%, (tabella 5) (13 - 19).


Tabella 5
tb5

Si tratta di ricerche che vengono svolte , come è noto, proponendo ad adolescenti un questionario, in modo anonimo o meno. Il loro vantaggio principale è la possibilità di indagare un numero elevato di adolescenti nello stesso momento.
Come dicevamo e come è possibile osservare nella tabella seguente che raccoglie alcune recenti ricerche svolte con self-report in diversi paesi del mondo, i risultati sono sorprendentemente superiori a quelli riscontrati nelle rilevazioni eseguite presso gli ospedali.
Alcune cautele sull'attendibilità di questo tipo di strumento sono d'obbligo nella valutazione dei risultati: ad esempio il rischio che venga confuso dall'adolescente l'atto compiuto con una pur significativa ideazione suicidaria.
A questo proposito si può notare che gli studi più recenti, come quelli sopra riportati, indicano percentuali di TS più basse rispetto a quelle citate nella nostra introduzione, ricavate da uno studio pubblicato nel 1991. (5) Vi sono comunque alcuni studi, come quello eseguito in Nuova Zelanda, citato in tabella 5 con una nota, che per la serietà della metodologia sembrano offrire maggiore affidabilità.
Anche nel caso di falsi positivi è comunque giustificato ritenere che questi adolescenti sperimentino un grave disagio, e ragionevolmente tra loro vi sarà chi potrà compiere un atto autolesivo con conseguenze tali da dover ricorrere ad un ospedale venendo così, probabilmente, registrato come TS, ma che potrebbe anche non giungere mai all'attenzione dei sanitari.

 La storia del caso di una paziente che chiameremo Maria è in questo senso esplicativa. Maria è una ragazza di 15 anni giunta all'osservazione di uno di noi mentre era ricoverata in rianimazione dopo aver compiuto un grave atto autolesivo ingerendo un'intera confezione di antidepressivi triciclici e un blister di benzodiazepine. Prima di compiere il suo ultimo tentativo di suicidio, aveva provato "a togliersi di mezzo" - come dice - altre due volte: la prima ingerendo un certo quantitativo di benzodiazepine e la seconda procurandosi una lesione al polso sinistro.
Tutti i tentativi di suicidio erano stati preparati con attenzione ai dettagli ed estrema riservatezza, in modo da non lasciare tracce immediatamente interpretabili.
In nessuno dei due casi Maria ha avuto contatti con il sistema sanitario: i familiari, infatti, pur essendosi resi conto degli atti compiuti da Maria, li avevano sottovalutati spiegandoli come una "cosa da ragazzi".
Questo conferma quanto affermato da Stefanowsky -Harding (1990): la messa in atto di un sistema di negazione è il fattore determinante della svalutazione dell'entità degli atti suicidari; anche Allen (1987) concorda e sostiene che i sistemi di negazione sono talmente sofisticati e potenti che interferiscono con la possibilità di individuare i sospetti potenziali suicidi, prima che questi mettano in atto il loro proposito. (20 - 21)


Conclusioni

Il dato del TS in età pediatrica è di difficile rilevazione sia per la scarsità di studi epidemiologici, sia per le difficoltà legate alla presentazione da parte di bambini e genitori degli accadimenti, oltre che per una tendenza generale degli adulti, e quindi anche del corpo medico, a non voler leggere alcuni comportamenti come possibili indicatori di TS.
Questa considerazione rimane fondamentalmente valida, a nostro parere, anche per l'età adolescenziale, nella quale pure cominciano ad essere registrati alcuni casi di TS.
L'indagine da noi condotta evidenzia che le lesioni dei bambini più piccoli oltre a non essere mai registrate come TS, si allontanano, anche sotto l'aspetto della modalità con la quale si realizzano, da quelle che potrebbero realmente mettere a rischio la vita, riscontrabili invece nelle età successive, e rimangono interpretabili, quindi, come atti autoaggressivi, con superamento della barriera del dolore che nei bambini molto piccoli serve come protezione contro il danneggiarsi o l'autodistruttività.
Una corretta modalità di intervento sui TS si può concretizzare in uno stretto affiancamento fra medici del Pronto Soccorso Pediatrico e Generale e gli operatori di Neuropsichiatria Infantile; questi potrebbero così fornire consulenze ed occasioni di informazione ed aggiornamento creando, in una ottica di équipe, un clima di interesse ed offrendo adeguate chiavi di lettura per le diverse autolesioni solitamente interpretate come accidentali.
Di fronte a questi episodi sarà necessario innanzitutto differenziare la mera accidentalità dai casi che abbiamo più sopra indicato come "ambigui", che richiedono una valutazione psicologica; dove con il termine "ambiguo" intendiamo un evento che presenta caratteristiche particolari per la dinamica interna e per il clima emotivo che ne caratterizza il racconto.
Questa valutazione potrà consentire inoltre di distinguere, indipendentemente dalle modalità utilizzate, gli atti autolesivi dai TS identificati da una chiara intenzione a togliersi la vita. Naturalmente in entrambi i casi dovrà essere fornito un adeguato aiuto psicologico.

Bibliografia


1- Orbach I., (1988), "Bambini che non vogliono vivere", pp.31,33, Giunti, Firenze, 1991.
2 - Freud S., (1901), "Psicopatologia della vita quotidiana", pp.210-211, Opere vol.4, Bollati Boringhieri, Torino, 1995.
3 - Hoffer W., (1955), "Le primissime fasi di sviluppo dell'Io". In: Sviluppo del Bambino e Psicoanalisi, pp.65, Boringhieri, Torino, 1983.
4 - Rosenthal P.A., Rosenthal S., "Suicidal Behaviors by Preschool Children", American Journal of Psychiatry, 141, 1984 (4), 520-525.
5 - Centers for Disease Control and Prevention. "Attempted suicide among high school students-United States, 1990". In MMWR, 1991, 40, p. 633-635
6 - Rigon G., Poggioli, D.G., "Suicidio e tentato suicidio nell'infanzia e nell'adolescenza. Commenti alla più recente letteratura". IMAGO 1997, 2, 141-166.
7 - Condini A., L. Marinig, "Le condotte suicidarie in adolescenza". XV Congresso Nazionale Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile. In Atti del congresso, Vol. I, p. 138-143. Ed. La Ginestra-Brescia. Ottobre 1994.
8 - Hawton K., Fagg J., "Deliberate Self-poisoning and Self-injury in Adolescents. A Study of Characteristics and Trends in Oxford, I976-89". In British Journal of Psychiatry (1992), 161, p.816-823.
9 - Perulli L. et al., "Le condotte suicidiarie in adolescenza: Ricerca sul territorio dell'ULSS 12 Veneziana." XVII Congresso Nazionale Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile. In Atti del congresso, Vol. I, p. 138-143. Centro Stampa dell'Università di Perugia. Ottobre 1997.
10 - Jeammet P., "Tentato suicidio nell'adolescenza". In Seminari sull'adolescenza. Ed. Area G, Milano, 1996.
11 - Jacobsen Leslie K et. al., Interviewing Prepubral Children about Suicidal Ideation and Behavior, J.Am.Acad.Child Adolesc.Psychiatry, May 1994, 33:4, pp.439-452.
12 - Kerkhof A.J.F.M. et al., "Attempted Suicide in Europe. Findings from the multicentre study on parasuicide by the Who Regional Office for Europe." DSWO Press, Leiden University, The Netherlands, 1994.
13 - Rey C, Michaud PA, Narring F, Ferron C., "Suicidal behavior in Switzerland: role of physicians." Arch Pediatr 1997 Aug; 4(8):784-792
14 - Buddeberg C. et al., "Suicidal behavior in Swiss students: an 18-month follow-up survey". Crisis; 1996 Vol 17(2) 78-86
15 - Jessen G, Andersen K, Bille-Brahe U., "Suicide thoughts and suicidal attempts among 15 - 24 years old individuals in the Danish educational system", Ugeskr Laeger 1996 Sep 2;158(36): 5026-5029
16 - Fergusson,-David-M., Lynskey,-Michael-T, "Suicide attempts and suicidal ideation in a birth cohort of 16-year-old New Zealanders". Journal-of-the-American-Academy-of-Child-and-Adolescent-Psychiatry; 1995 Oct Vol 34(10) 1308-1317
17 - Patton,-George-C. et-al., "Adolescent suicidal behaviours: A population-based study of risk". Psychological-Medicine; 1997 May Vol 27(3) 715-724
18 - Yuen N. et-al., "The rate and characteristics of suicide attempters in the native Hawaiian adolescent population". Suicide-and-Life-Threatening-Behavior; 1996 Spr Vol 26(1) 27-36
19 - Bagley C., Bolitho F., Bertrand L., "Mental health profiles, suicidal behavior, and community sexual assault in 2112 Canadian adolescents". Crisis; 1995 Vol 16(3) 126-131
20 - Stefanowsky-Harding S., "Suicide and the school counselor". The School Counselor, 1990, 37, 328-336
21 - Allen B.P., "Youth Suicide", Adolescence, 1987, 22, 271-290
Ringraziamenti
Si ringrazia l'équipe medica del Pronto Soccorso Pediatrico dell'Ospedale Maggiore di Bologna, diretta dal Dott. Antonino Giardina e l'équipe del Pronto Soccorso Generale dell'Ospedale Civile di Rimini diretta dal Dott. Roberto Pedrazzi, per la preziosa collaborazione nella fornitura dei dati. Per la collaborazione nella raccolta si ringrazia inoltre la Sig.ra Francesca Mondaini, laureanda in Psicologia presso l'Università di Bologna.

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