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TENTATO SUICIDIO IN ADOLESCENZA STUDIO BIBLIOGRAFICO SUI FATTORI DI RISCHIO E I SISTEMI DI AIUTO AGLI

ADOLESCENTI CHE TENTANO IL SUICIDIO E ALLE LORO FAMIGLIE.

PATRIZIA AMADEI*, SILVIA BONACINI**, UMBERTO NIZZOLI***

*Psicologa psicoterapeuta, Settore di Psicologia Clinica, Sociale e di Comunità, Az. USL di Reggio Emilia

**Psicologa tirocinante, Settore di Psicologia Clinica, Sociale e di Comunità, Az. USL di Reggio Emilia

***Psicologo psicoterapeuta, Direttore Dipartimento Aziendale di Salute Mentale, Responsabile Settore di Psicologia Clinica, Sociale

e di Comunità, Az. USL di Reggio Emilia

RIASSUNTO

Lo studio bibliografico presentato tratta la prevenzione del suicidio in adolescenza: vi sono descritti i principali fattori di rischio

suicidario e alcune proposte di intervento recentemente effettuate in tale ambito, finalizzate alla riduzione dei comportamenti suicidali.

Viene dato particolare rilievo allo studio delle dinamiche attraverso cui l’adolescente, a partire da un’idea di suicidio giunge ad agirla, e

all’importanza della sintomatologia ansiosa, spesso sottovalutata, che può derivare da qualsiasi cosa superi le capacità mentali di

"contenimento", abbia essa un origine esterna o interna.

Le conclusioni tratte evidenziano l’importanza della prevenzione primaria, la necessità di un intervento tempestivo sull’adolescente e

sui suoi familiari, da seguire mediante setting separati, nonché la necessità di un approccio bio-psico-sociale al fenomeno.

SUMMARY

The strategies employed to prevent suicide in adolescence are reviewed. This bibliographic study assesses the mean risk factors in

suicide attempts and some efforts which have been made recently to prevent suicide (primary and secondary prevention).

Moreover the authors highlight the specific dynamic by which an adolescent leaves suicidal ideas to enter the word of action and tries

to commit suicide; they underline the importance of anxiety states as risk factors, often undervalues, which can derive from

everything which overwelmes the capabilities of the mental apparatus to ensure its activity, would it be from external reality as well

as from the phichic apparatus itself.

They draws conclusions about the importance of primary prevention, the necessity of an opportune timely intervention for both

adolescent and his parents (family) with different setting and the importance of bio-psyco-social approach.

1 Introduzione

Questo studio ci ha indotto a riflettere sulla complessità del suicidio, sulla paura della morte e sul fascino che in essa è racchiuso. Tale ambivalenza è contenuta nel messaggio del suicida, che afferma di voler vivere attraverso il suo gesto mortale. "La maggior parte delle persone che commettono gesti autosoppressivi, ad esito fatale o meno, non vuole morire o vivere, ma desidera tutte e due le cose allo stesso tempo, di solito una di più o molto di più" (Stengel). Di qui la necessità di interrogarsi se la richiesta di aiuto porta nella direzione della vita o della morte. La sofferenza contenuta nel gesto suicida testimonia il desiderio di costruirsi uno spazio illusorio attraverso una fuga dal reale che costituisce il luogo dei nodi interiori da sciogliere. All’origine di questa sofferenza appare un’incapacità di affrontare il dolore per le separazioni e le perdite: il malessere di vivere diviene un agito incontrollabile e procura una risposta affettiva che devia marcatamente dai valori della cultura per la sua inadeguatezza, un agito "perverso" che porta a rivolgere le proprie pulsioni contro se stessi attraverso una perdita di identità..2 La perversione, non prende forma solo nelle cerimonie della vita sessuale, ma si manifesta anche in attività di pensiero, in aspirazioni, in modi di rappresentare la propria persona. La letteratura ci propone spesso personaggi maschili che hanno fatto della perversione il centro della loro esistenza; sembra invece che le donne si affaccino alla scena della perversione come oggetti del piacere dell’altro, come complici passive dei riti e delle cerimonie sessuali maschili. Per scorgere la perversione femminile occorre forse spostare lo sguardo su comportamenti più masochisti quali l’atto di strapparsi i capelli, i disturbi della sfera alimentare, il procurarsi ferite e tutte le azioni nichiliste che possono a volte culminare in un tentato suicidio. Ciò non di meno tali comportamenti appartengono ad uomini e donne. Il rischio di vivere ogni cosa come un feticcio, di non saper elaborare le esperienze o di reagire emotivamente è ben rappresentato da coloro che tentano il suicidio: essi giungono ad annientare il loro mondo interiore, a soffocare il dolore negando l’esperienza corporea che il suicidio comporta, allontanandosi dal proprio io e dissociandolo in un io replicante che inferisce sull’io corporeo un atto lesionstico che lo annienta Per comprendere ciò che sottende l’atto auto-soppressivo è importante sicuramente sapere se chi lo compie è depresso, nevrotico, sicotico, deviante o disperato per fattori esterni a lui, ma l’approccio da tenere con lui sarà comunque determinato dai contenuti del suo alessere, dal prevalere dell’istinto di vita o da quello morte, dal grado di ambivalenza che mostra, dal motivo che ha determinato il tentato suicidio, dalla riserva psichica che possiede e dalla possibilità di aiuto che il suo contesto è in grado di mettergli a disposizione. Ci siamo proposti di studiare i comportamenti suicidali in adolescenza, poiché essa rappresenta la fase nella vita dell’uomo, tra le più esposte agli attacchi dell’ansia, dell’angoscia, del nichilismo e pertanto al rischio di suicidio. Già negli anni 70 Richman J. E Sabbath J.C. osservavano la relazione tra che le condotte suicidarie adolescenziali ed il sistema familiare disfunzionante (conflitti nei ruoli, legami basati su rapporti disfunzionali, comunicazioni rese criptiche, rigidità e incapacità di cambiare o di tollerare una crisi). Questo approccio, che è stato seguito dalla maggior parte degli studiosi del fenomeno negli anni a seguire, ha il merito di allargare lo studio e l’intervento ad un contesto più vasto, induce a riflettere sul bisogno di aiuto che le famiglie dei giovani che tentano il suicidio possono avere e su quanto possa essere parziale un intervento che non tiene conto del contesto familiare, sebbene spesso il tentato suicidio sia negato sia dal protagonista, che non richiede aiuto, che dai suoi familiari che si vergognano di tale gesto o che, comunque, preferiscono non affrontare il problema perché ciò li metterebbe in gioco. Appare pertanto importante: raggiungere le famiglie sensibilizzandole rispetto al ruolo che hanno (dando loro nformazioni precise.3 riguardo alle problematiche adolescienziali e ai comportamenti a rischio), farsi carico del sistema familiare disfunzionante oltre che dell’adolescente vittima ed attore del gesto. Proveremo attraverso lo studio dei principali fattori di rischio e degli interventi più significativi, di individuare quali possono essere i metodi e gli strumenti più efficaci di intervento
2 Dati statistici, fattori di rischio e ulteriori condizioni associate alle condotte suicidarie dell’adolescente.

I dati riguardanti i tentati suicidi giovanili segnalano, in questi ultimi vent’anni, una notevole crescita.

L’incremento è valutabile – secondo i diversi paesi – intorno al 60%, e ciò ha reso tale fenomeno una vera

e propria emergenza sanitaria. Nel contesto italiano in particolare, ogni giorno dieci giovani tentano il

suicidio, mentre due lo portano a compimento.

Del resto peraltro, da più parti si osserva che le statistiche ufficiali presentano una sottostima del fenomeno

(Stengel 1977; De Leo Pavan 1992; Festini Cucco Cipollone 1992).

Vi è poi da considerare che viene generalmente stimato che circa il 30-40% di chi tenta il suicidio lo aveva

precedentemente tentato almeno un’altra volta, così come è noto che il rischio di recidiva letale

corrisponda al 10% in 10 anni: ciò significa che su 100 persone che tentano oggi il suicidio, 10 moriranno

di suicidio nei successivi 10 anni. Secondo Crepet, inoltre, è probabile che anche tale rischio sia

sottostimato e che la letalità dopo un T.S. sia probabilmente doppia.

Di qui, la necessità di interventi di tipo preventivo, i quali, specie per ciò che concerne la prevenzione

primaria, ma non soltanto, non possono non tener conto dei "fattori di rischio" che si associano al

comportamento suicidario.

Riportiamo di seguito i più significativi, analizzando le variabili socio-demografiche ed altre condizioni

associate alle condotte suicidarie:

Sesso: è una delle variabili maggiormente studiate, e dalle ricerche epidemiologiche emerge una delle

maggiori certezze storiche sul fenomeno suicidario. E’ noto infatti che se il suicidio giovanile è più frequente

tra i maschi che tra le ragazze (in un rapporto di 2-3 a 1), la distribuzione tra i sessi del tentato suicidio è,

nonostante alcune eccezioni, opposta (circa 2 a 1). La netta prevalenza del sesso femminile riguarda

dunque soprattutto la fascia d’età tra i 13 e i 17 anni.

Stato civile: è un’altra variabile significativa: mentre per gli adulti il suicidio è assai più frequente tra i

"single" (celibi, nubili, separati), rispetto ai coniugati, per i giovani avviene spesso il contrario, anche se,

data l’età, la condizione di coniugato è ovviamente più rara (Crepet, 1994)..4

La condizione di studente: a tale variabile è attribuita una grande importanza. Indagini condotte nei

college di Oxford e Cambridge dimostrano che il tasso di suicidio è notevolmente superiore rispetto a

quello di chi non frequenta l’università, e anche nel contesto italiano non mancano studi che segnalano tale

condizione come un fattore di rischio per le condotte suicidarie (T. Corradi e coll., 1992; Amodio e

Fornari 1988; Crepet 1994).

Abuso di sostanze. Sia nella letteratura italiana che in quella straniera, anche l’abuso di alcol e droghe é

frequentemente segnalato come un importante fattore di rischio, considerato predisponente le condotte

suicidarie del giovane. (De Vanna e coll. 1991; Amodio e Fornari 1988). L’associazione tra suicidio e

tossicodipendenza non deve essere intesa come indicativa di un rapporto causa-effetto ed è meglio

considerare l’assunzione di sostanze e le condotte suicidarie come effetti di una causa comune, da ricercarsi

in altri fattori psicologici e sociali che potrebbero motivare entrambi i tipi di comportamento.

Precedente T.S.: la presenza di un precedente tentativo di suicidio costituisce, come si è detto, uno dei

fattori predisponenti più importanti. In generale, la maggior parte dei ricercatori sostiene che il 30-40% dei

giovani suicidi ha tentato almeno un’altra volta di uccidersi. "Traducendo questo dato in termini di rischio, si

può affermare che circa l’1,5% dei giovani che tentano di suicidarsi, vi riesce entro 12 mesi da quel

tentativo." (Diekstra, 1989).

Isolamento sociale: è anch’esso un importante fattore di rischio; non a caso tra i fattori protettivi più

importanti è considerata l’appartenenza a gruppi sociali coesi. Da più parti si evidenzia (De Vanna e coll.,

1991, Amodio e Fornari; 1988, Condini et al., 1997, ecc.), che un elemento comune ai giovani che

incorrono in comportamenti suicidali è la solitudine: talvolta si tratta di solitudine esistenziale, altre volte di

totale isolamento sociale. Spesso tale isolamento comincia a svilupparsi nel primo nucleo sociale con cui

l’individuo ha a che fare, e cioè la famiglia. Spesso l’intero nucleo familiare è socialmente isolato, per fattori

economici o per fattori di personalità, e tale isolamento è deprivante nella crescita emotiva del giovane.

Famiglia ed eventi traumatici. Da più parti si evidenzia che l’ambiente familiare può spesso costituire

una fonte di componenti e fattori che possono interferire nella genesi di comportamenti suicidari e

parasuicidari. Gli elementi che emergono in letteratura sono numerosi: non è raro riscontrare, tra gli

adolescenti che hanno tentato o eseguito un suicidio, la presenza di caratteristiche anamnestiche come:

disgregazione familiare, frequenti spostamenti geografici o cambiamenti di residenza, difficoltà finanziarie

nella famiglia, assenza di un genitore, (sia essa reale e duratura per morte o separazione, sia temporanea,

ma di lunga durata ospedalizzazione, prigione, ecc.) ; sono poi abbastanza frequenti casi di alcolismo,

disturbi psichici, precedenti suicidi o tentati suicidi nei genitori..5

Un dato che emerge frequentemente in letteratura, è costituito dal fatto che il passato remoto e prossimo

dei giovani che attuano comportamenti suicidali è spesso caratterizzato dalla cosiddetta "broken home".

Può trattarsi della mancanza di un genitore, spesso il padre, deceduto (talvolta per suicidio), allontanatosi

dalla famiglia in seguito a separazione o divorzio, o mai esistito (es. figli di ragazze madri). (De Vanna

1991; K. Toolan precedentemente),

Per ciò che concerne l’assenza di un genitore per separazione o divorzio, Amodio e Fornari (1988)

osservano che non è tanto l’assenza del genitore in sé, quanto la disarmonia familiare che ne sta a monte a

contribuire a generare tendenze e pensieri autodistruttivi o altri comportamenti antisociali.

Si fa inoltre notare che, come osservano Lucattini e coll.(1993), l’assenza della figura genitoriale non deve

essere necessariamente fisica: un genitore non autorevole, anaffettivo o svalutante, che comunque non

costituisce un valido modello di identificazione, può favorire nel figlio lo sviluppo di una personalità fragile,

dotata di scarsa autostima e di bassa tolleranza alle frustrazioni. Allo stesso modo, secondo gli AA., anche

una educazione eccessivamente autoritaria e la continua richiesta di migliorare le proprie performances può

essere potenzialmente altrettanto pericolosa. Infatti, osservano, la sensazione di non essere all’altezza delle

richieste (proiettive) dei genitori può determinare nell’adolescente pericolosi vissuti di angoscia e

depressione.

Diversi autori hanno dimostrato che tali famiglie sono spesso caratterizzate da una minor coesione interna e

dall’essere affettivamente meno coinvolgenti rispetto a quelle di ragazzi appartenenti al gruppo di controllo.

Secondo l’opinione di due noti ricercatori americani – Pfeffer, 1984, Shafii e coll., 1985 – suffragata da

una serie di studi sulle famiglie di adolescenti suicidi, si possono distinguere due principali tipologie familiari:

la famiglia stressata, ovvero quella in cui eventi negativi (perdita di parenti o amici, morte, separazione o

divorzio) hanno comportato una serie di cambiamenti nelle relazioni interne, con pesante ricaduta sul livello

di sopportazione emozionale dell’adolescente; la famiglia problematica, la cui disfunzione è originata

dall’accumulo di problemi psicopatologici (presenza di soggetti affetti da depressione, abuso di alcol o di

sostanze stupefacenti); molto spesso in queste famiglie si registrano casi di violenza sui minori, compresi la

molestia e l’abuso sessuale (P. Crepet, 1993).

Violenze fisiche e sessuali consumate in famiglia costituiscono un’ulteriore importante fattore di rischio

(Crepet, 1993; Luccattini et. al., 1993; Anderson, 1996; Herman, Hirschman, 1981; ecc.). Esperienze di

questo tipo, sperimentate con le persone più significative per il giovane, costituiscono uno degli stressors

più importanti nello studio delle condotte suicidarie degli adolescenti. Numerose ricerche hanno infatti

evidenziato una forte correlazione tra episodi di violenza fisica subita durante l’infanzia o la prima.6

adolescenza e condotte autolesive compiute negli anni successivi (Korsky R., 1983; Herman J., Hirschman

L., 1981, ecc.).

Anche l’abuso sessuale, specie a contenuto incestuoso, può favorire l’insorgenza di intenzioni suicidarie

nell’adolescente. Herman e Hirschman, confrontando un gruppo di donne che avevano subito un rapporto

incestuoso con il padre con donne oggetto di una violenza sessuale non incestuosa, rilevano una

percentuale di tentati suicidi del 38% nel primo gruppo, contro il 5% del secondo.

Un altro evento che ricorre nella storia delle giovani donne che hanno tentato il suicidio è l’evenienza di una

gravidanza non voluta o rifiutata. Dai dati epidemiologici emerge che le condotte suicidarie tra le

ragazze incinte sono 6 volte più frequenti che tra le non gravide (spesso si tratta di giovani di religione

cattolica e non sposate). In particolare, due sembrano essere i periodi di maggior rischio: le prime settimane

del ritardo mestruale e il post-partum. Ciò sembra valere soltanto per le adolescenti: per la donna adulta

infatti, l’essere incinta o l’aver appena partorito costituiscono fattori inibitori del suicidio.

Il disagio psichico costituisce indubbiamente il fattore di rischio più importante e comunemente si ritiene

che nell’esecuzione di ogni suicidio cooperino fattori esterni e fattori interni. Nessun suicidio potrebbe

quindi essere spiegato solo in base a cause esterne; "anche nelle situazioni ambientali al limite, come le

persecuzioni, le detenzioni, le torture, solo una piccola percentuale di individui si toglie la vita" (ibidem). E’

quindi sempre necessario considerare anche le cause interne: le caratteristiche della personalità

dell’individuo e la scelta del suicidio è spesso collegata ad una forma di disturbo, disagio, sofferenza o

fragilità di tipo psicologico.

Secondo Stengel, circa un terzo delle persone che si uccidono hanno sofferto di disturbi nevrotici, psicotici,

o di un grave disturbo della personalità. Conclusioni analoghe possono essere tratte dagli studi

specificamente rivolti alle condotte suicidarie giovanili: si tratta di personalità accomunate da un filo

conduttore rappresentato dalla loro "estrema fragilità psicologica ed esistenziale" (De Vanna et al., 1991).

E’ possibile dire con Holderegger che quasi tutti i disturbi psichici si associano al suicidio, dal più leggero al

più grave: disturbi depressivi, disturbi di personalità, schizofrenia, disturbi d’ansia ecc.. Analogamente, nel

contesto italiano, (Canton e coll. 1989), in uno studio relativo alla relazione tra ideazione suicidaria e

sintomatologia psichiatrica nell’adolescenza, rilevano che i soggetti con ideazione di suicidio riportano una

più consistente sintomatologia psicopatologica rispetto ai soggetti "non ideatori", e che tale sintomatologia

riguarda tutte le dimensioni psicopatologiche, affettive e non affettive, nevrotiche e psicotiche, della scala

sintomatologica utilizzata (SCL-90); dunque non soltanto la depressione. Sembra quindi che, almeno per

quanto emerge da questo studio, nell’adolescente con ideazione di suicidio il legame con la sofferenza

psichiatrica sia aspecifico e che solo in una minoranza di soggetti vi sia una chiara relazione con una.7

depressione di rilevanza clinica. Ciò può forse risiedere nel fatto che durante l’adolescenza la

sintomatologia psichiatrica è spesso polimorfa e variabile, tant’è che vi sono delle difficoltà oggettive nel

fare diagnosi precise in questa fase. Ciò dipende dal fatto che l’adolescenza è un periodo di per sé critico e

transitorio, soggetto a rapidi cambiamenti fisici e psichici, e che si accompagna "fisiologicamente" a

problemi di adattamento.

Le ricerche epidemiologiche e le indagini retrospettive sui comportamenti suicidari, hanno portato diversi

Autori a distinguere tra:

Fattori predisponenti e Fattori precipitanti il tentativo di togliersi la vita. I primi includono buona parte

dei fattori di rischio precedentemente esposti, tra cui: un precedente tentativo di suicidio, la fragilità

familiare, come la "broken home", la presenza di suicidi in famiglia, la presenza di eventi traumatici, disturbi

psichiatrici, in particolare la depressione, ecc.

Tra i fattori precipitanti, ossia gli eventi stressanti che intercorrono nei mesi immediatamente precedenti e

considerati "scatenanti" l’episodio suicidario [in una situazione che, comunque, è già di per sé molto

precaria, sottolineano De Vanna e coll. (1991)], sono inclusi eventi come la conflittualità familiare, una

bocciatura, l’abbandono da parte del partner, o la recente perdita di un familiare. Per le femmine, il fattore

precipitante di gran lunga più importante è la molestia sessuale. La combinazione di tali fattori va

considerata indicativa di un "rischio" che non va sottovalutato.

Secondo alcuni autori, una vera e propria "sindrome presuicidaria" precederebbe il tentativo di suicidio.

Essa è caratterizzata, secondo Ross (1987) da turbe del sonno, dell’appetito, della concentrazione,

tendenza all’isolamento e apatia, sentimenti di tristezza, disturbi somatici.

Da più parti si evidenzia che la predicibilità della condotta suicidaria dell’adolescente risiede nella

individuazione e nell’attenta considerazione di tali fattori di rischio, che non devono essere sottovalutati ai

fini di un intervento preventivo precoce.

Fondamentale per la valutazione dell’imminenza del rischio suicidario è l’analisi della comunicazione di tale

rischio, che si estrinseca attraverso diverse modalità di segnalazione. E’ infatti da sfatare il luogo comune

secondo cui chi vuole suicidarsi non fa mai trapelare il proprio proposito, al contrario suicidio e tentato

suicidio sono in genere preceduti da una serie di segnali che possono allarmare chi ha più stretti rapporti

con la persona a rischio (genitori, amici, ma anche insegnanti). Tali segnali possono essere riassunti in tre

categorie:

Segnali verbali: comprendono affermazioni del tipo "voglio morire" o "non ho più voglia di vivere" o altre

di questo genere; vi possono poi essere affermazioni dal contenuto meno chiaro del tipo: "vorrei andare a.8

dormire e non svegliarmi più" o "i miei ci staranno male quando me ne sarò andato" oppure "presto tutto

questo schifo finirà" ecc..

Segnali comportamentali: comprendono una lunga lista di situazioni, sovrapponibili a quanto esposto in

precedenza: aumento o diminuzione del sonno, dell’appetito, svogliatezza, difficoltà di concentrazione,

cambiamenti repentini del tono dell’umore, tristezza e pianto improvvisi, abbandono delle attività sociali e

tendenza alla solitudine, brusco peggioramento del rendimento scolastico, aumento dei comportamenti a

rischio (es. correre in macchina o moto), abbassamento dell’autostima, aumento dell’uso di alcool o droga,

improvviso disinteresse per l’elaborazione di piani per il futuro, ecc. (Smith, J., 1988, cit. da Crepet,

1994).

Segnali situazionali, sostanzialmente corrispondenti ai fattori precipitanti in precedenza esposti.

Da più parti si evidenzia che la capacità di riconoscere al loro primo apparire i segni di una condotta

suicidaria dovrebbe far parte del bagaglio professionale di ogni insegnante e si segnala la necessità di

sensibilizzare ed ottimizzare le capacità di osservazione di questa categoria di persone-chiave, che ha

contatti pressoché quotidiani con l’adolescente.

3 Modelli di intervento

In ambito suicidologico si distinguono secondo R.F.W. Diekstra, D. De Leo.(1991) tre livelli di intervento:

Prevention A questo livello si collocano tutti gli interventi che agiscono su fattori e circostanze che

favoriscono il benessere psicologico e la salute mentale. Abbiamo considerato tre principali modalità di

intervento:

Interventi a scuola: La prevenzione del suicidio nell’adolescente dipende dalla capacità di identificare

precocemente quelle popolazioni ad alto rischio e vulnerabili - che presentano comportamenti come

l’ideazione suicidaria o il tentato suicidio - e dall’offrire interventi capaci di modificare queste condotte

prima che siano agite.

Erikson (1950) afferma che il livello di autostima deriva dalla soluzione di alcuni conflitti durante l’infanzia.

Molte ricerche hanno messo in luce lo stretto rapporto tra l’incapacità a sviluppare precocemente un buon

livello di autostima e lo sviluppo, fin dall’adolescenza, di un buon adattamento sociale.

"La correlazione tra la bassa autostima e la sintomatologia depressiva è di grande interesse per le

implicazioni con la prevenzione delle condotte autolesive" (Crepet, 1994).

V.O. Long (1987) e C. Stivers (1991), due psicologi americani impegnati nella realizzazione di

programmi educativi per la scuola, con particolare riferimento alla prevenzione delle condotte autolesive,.9

hanno individuato quattro componenti relative ad un positivo concetto di sé: Competenza: capacità

dell’individuo di farsi carico della propria vita, del proprio lavoro e delle proprie relazioni sociali; autostima:

buon rapporto con se stessi; congruenza: capacità e forza di essere sé stessi anche quando gli altri non lo

condividono; controllo su se stessi e i propri sentimenti.

Il ruolo che la scuola può ricoprire nel rafforzamento dell’autostima diviene quindi cruciale.

Secondo Roger et al., del Centro di Prevenzione del Suicidio dell’Università Canadese di Calgary, i

programmi di prevenzione primaria delle condotte suicidarie devono porre particolare attenzione alla qualità

del clima e dell’"atmosfera psicologica" nella scuola. Ciò implica la capacità di finalizzare parte

dell’insegnamento alle strategie attive ("coping strategies") per affrontare gli eventi della vita, e allo sviluppo

dei legami affettivi ed emozionali indispensabili a rafforzare la rete di solidarietà e di fiducia reciproca.

Interventi sui medici di base: Nel 1974 Barraclough aveva rilevato che il 90% dei suicidi da lui

considerati aveva consultato il proprio medico di base o uno psichiatra nell’ultimo anno, che il 48% lo

aveva fatto nell’ultima settimana ed i 2/3 nel mese precedente. Capstik confermando il dato precedente ha

evidenziato che l’80% dei suoi pazienti si era rivolta al proprio medico nel mese precedente l’atto

autolesivo.

Presentiamo di seguito due studi che confermano l’importanza della figura del medico generico e cercano

anche di ipotizzare come attuare un intervento:

M. De Vanna, C Schenardi, L. Filppuzzi et al.: (1991) in una ricerca svolta dai suddetti AA. nel

territorio di Treviso, che ha visto coinvolti 48 medici di base, (ai quali afferisce una popolazione di 64.000

abitanti), è emerso che nella metà dei casi il gesto suicidario è stato anticipato da fenomeni rilevati dal

proprio medico.

La scelta del mezzo con cui attuare l’atto autolesivo riporta nuovamente l’attenzione sul medico di base e

sulle responsabilità di quest’ultimo nella gestione del disagio psichico. Sono infatti gli psicofarmaci il mezzo

più spesso scelto per togliersi la vita: Skegg rileva, ad esempio, che il 50% dei soggetti incorsi in un

overdose ha utilizzato farmaci prescritti dal medico di base.

Se da un lato i dati emersi rilevano una notevole sensibilità dei medici di medicina generale, (appare infatti

evidente l’importanza che possono avere per prevenire il suicidio, essendo capaci di individuare possibili

situazioni di rischio), dall’altro emerge che per poter operare proficuamente nella lotta al fenomeno, essi

debbano essere opportunamente sensibilizzati alla collaborazione con chi opera in ambito di prevenzione

secondaria.

Anche Amodio e Fornari (1988) evidenziano l’importante funzione preventiva del medico "generico", e

consigliano alcuni provvedimenti adottabili per gli adolescenti dal medico stesso: Sospettare ipotesi di.10

suicidio in ogni adolescente particolarmente depresso o ansioso; chiarire al giovane che è libero di parlare

dei suoi sentimenti senza paura di disapprovazione, indifferenza o ritorsione; instaurare un accettabile

rapporto con adolescenti in cui si sospetta l’esistenza di pensieri suicidi; mantenere i livelli di comunicazione

sempre aperti per ogni richiesta di aiuto da parte del ragazzo; informare i genitori se i segni di

comportamento suicidario divengono minacciosi.

Analogamente, P.L. Rocco e A. Amigoni (1993) propongono una strategia preventiva che vede coinvolto

il medico di base e che si articola in tre punti pricipali: Sensibilizzazione dei medici al problema e diffusione

dell’idea che possono riconoscere il rischio di suicidio nei propri pazienti. Ampliamento della competenza

medica nel riconoscimento e cura di persone a rischio di suicidio. Sensibilizzazione di operatori sanitari che

si affiancano al medico di base, ad esempio infermieri e assistenti sociali.

I centri di prevenzione del suicidio che operano attraverso "Hot-line" gestite da volontari:

talvolta sono chiamate Teen line, costituiscono un intervento di aiuto rivolto agli adolescenti e gestito da

giovani volontari attraverso una linea telefonica. Il modello descritto da Paul Kymissis e David A.

Halperin, ci mostrano come tale forma di intervento riguarda non soltanto la problematica del suicidio ma

tutte le situazioni di crisi in cui può incorrere un adolescente o un preadolescente.

Gli Autori ritengono che la consultazione telefonica sia un mezzo molto indicato per fornire interventi nelle

situazioni di crisi.

Lo scopo dell’agenzia è quello di fornire agli adolescenti che chiamano un programma di ascolto sicuro,

non valutativo e positivo da parte di un loro pari che garantisca un azione di anonimato, esiste inoltre un

effetto secondario molto positivo per gli adolescenti che operano come ascoltatori che consiste nel loro

attivo coinvolgimento come operatori-volontari nel servizio.

Per molti adolescenti che contattano l’agenzia, il parlare con un coetaneo empatico, partecipe e non

giudicante fornisce la possibilità di chiarire alcune preoccupazioni e di esplorare altre opzioni possibili.

Intervention La maggior parte degli sforzi si colloca a livello di prevenzione secondaria (cioè di

intervento dopo che le tendenze suicidarie si sono verificate). Essi si caratterizzano per il diverso approccio

metodologico.

Più autori hanno affrontato il tema dei comportamenti suicidali in adolescenza; ne abbiamo presi in

considerazione alcuni al fine di formulare una proposta di intervento che tenesse conto delle loro

osservazioni ed indicazioni.

D. De Leo e collaboratori hanno effettuato uno studio su 100 casi afferiti al pronto soccorso

dell’ospedale di Padova in un periodo di tempo di 16 mesi (marzo 1995 giugno 1996) le loro conclusioni

sono le seguenti:.11

"I risultati hanno evidenziato un’attenzione inadeguata all’aspetto somatologico a discapito di quello

psichico, basso utilizzo del servizio psichiatrico d’Emergenza, alto tasso di ricoveri in reparti internistici,

elevata onerosità dell’assistenza prestata, una buona compliance per l’aftercare proposto all’utenza".

Condini, S. Napolitano, D. Pastorio in uno studio sulle psicopatologie delle condotte suicidarie nei pre-adolescenti

affermano che l’approccio di presa in carico dei giovani che tentano il suicidio, prevede che la

consulenza inizi in Pronto Soccorso con la richiesta del pediatra e poi venga concordata la gestione del

ricovero con l’internista.

L’intervento tempestivo consente di cogliere la dinamica degli eventi e la partecipazione emotiva al gesto; è

inoltre, secondo gli AA., il momento più indicato per agganciare i genitori restituendo loro la percezione di

un gesto critico e di una sofferenza da ricordare. Sembra infatti che spesso i genitori non riescano a

riconoscere, nella fase che precede il tentato suicidio, quegli elementi di criticità che sono presenti.

"Nei preadolescenti si assiste ad una espressione di sollievo quando si comunica loro che il gesto viene

preso sul serio e si propone un aiuto nel tempo che va al di là della situazione contingente".

"Il funzionamento mentale dei componenti della famiglia sembra caratterizzato da un eccessiva proiezione

genitoriale, da una relazione simbiotica madre-figlio nella quale entrambi appaiono prigionieri, privati di ogni

spazio per l’esperienza e l’espressione dell’aggressività su altri oggetti".

Secondo gli AA. è possibile riconoscere alcuni aspetti che accomunano i tentativi di suicidio in età evolutiva:

"raramente sono progetti pensati da lungo tempo o definiti in una sequenza, rappresentano spesso un

tentativo estremo o paradossale di uscire da un processo di crescita angusto…la famiglia appare

strettamente coinvolta, sia per il ruolo che ha nel processo di crescita che per il fatto di essere all’origine e

al terminale del gesto, che nella maggior parte dei casi attacca l’uno o l’altro dei genitori o la coppia

parentale."

M. e M. E. Laufer ritengono che gran parte dei disturbi adolescenziali, tra cui i costrutti deliranti, le

proiezioni paranioidi, le aggressioni violente al corpo come i tentativi di suicidio e le allucinazioni, possono

essere considerati espressione di una patologia unica, "il Breakdown, che corrisponde ad una frattura del

processo evolutivo, nel quale l’adolescente ripudia il proprio corpo sessualmente maturo e perpetua un

rapporto con il corpo fantasticato. La frattura con la realtà rappresenta in tali casi l’unico mezzo che

consente di confermare la deformazione originaria del passato, nel tentativo di evitare il dolore e di

raggiungere uno stato di calma. Nella fantasia che uccidendo se stessi possa essere evitata la minacciata

perdita o il rifiuto da parte della madre, vi è il desiderio di riunificazione che sottende la paura di essere

abbandonato"..12

Eventi e fattori correlati al T.S. sono il minacciare il suicidio prima del tentativo, il parlare con il partner o

con il medico di base della propria depressione, l’irrompere di impulsi ostili sentito come una perdita di

controllo sulla propria aggressività.

"Gli adolescenti si trovano in uno stato mentale alterato subito prima o durante l’atto suicida;.. descrivono

se stessi come in uno stato di pacifica inesistenza o sentendosi già morti e totalmente calmi, incapaci di

pensare ai loro genitori e alla loro reazioni…quando l’adolescente dice che i suoi genitori non hanno

significato per lui o che si sente di meritare di essere rifiutato da loro vi è realmente il pericolo che tenti il

suicidio".

I genitori di adolescenti T.S. una volta superato l’immediato pericolo di morte tendono subito a negare il

fatto considerandolo un’azione impulsiva e vergognosa da essere dimenticata senza doverne parlare

ulteriormente. "Per questo motivo prima di dare avvio al trattamento è necessario incontrare sia i genitori

che l’adolescente allo scopo di spiegare loro il bisogno urgente di trattamento ed il grado di esposizione al

rischio di suicidio."

Anche il terapeuta può venir preso nella negazione del pericolo ancora presente, per questo è essenziale

non lavorare da soli con questi giovani così vulnerabili, per non incorrere nel pericolo di colludere con i

loro impulsi distruttivi e con la negazione che mettono in atto. Nel programma di intervento è importante

valutare l’entità del rischio attraverso un’indagine accurata del pensiero dell’adolescente nel momento in cui

pensa al suicidio o ripensa al t.s. "Questi adolescenti non devono essere lasciati soli, non bisogna

prescrivere loro delle pillole o dire loro che tutto andrà bene, perché ciò viene percepito come abbandono

e finisce col farli sentire soli con la mente fuori di controllo." In questo senso una superficiale presa in carico

o un aiuto poco attendibile possono essere, secondo gli Autori, più dannosi che nessun aiuto nel periodo di

crisi. L’assenza di aiuto lascia almeno aperta la speranza che possa esservi nell’ambiente una persona che

si prenda cura, mentre un aiuto inappropriato può essere sentito come conferma del fatto che egli può

anche morire, dal momento che nessuno se ne interessa.

Francois Ladame sostiene che l’adolescenza è una fase specifica e unica dello sviluppo umano poiché in

nessun altro periodo della vita l’apparato psichico è sottoposto a cambiamenti altrettanto profondi e

completi, che interessano tutti i settori del funzionamento.

La meta da raggiungere è l’acquisizione di un identità sessuale fissa e irreversibile, il che presuppone un

rimaneggiamento dei rapporti con il proprio corpo, con le figure genitoriali, con i coetanei. Caratteristica

dell’adolescenza è la tensione dialettica tra progressione e regressione, tra primitività e differenziazione.

L’angoscia dell’adolescente suicida è l’angoscia di separazione di chi non ha mai superato

convenientemente la prima separazione con l’oggetto. Il passaggio all’atto suicida segnerebbe dunque il.13

fallimento del superamento della fase di separazione-individuazione. "Il gesto suicida dipende da uno stato

impulsivo, (raptus ansieux) determinato da qualsiasi evento che superi la capacità dell’apparato mentale di

assicurare la sua attività di contenimento. Episodi parossistici di ansia sono accompagnati dalla

disintegrazione del livello di coscienza" (Ladame, 1987). Nei giovani suicidi si riscontrano i principali

meccanismi di difesa caratteristici della sindrome bordeline: scissione, diniego, identificazione proiettiva; ma

le scissioni avvengono secondo modalità particolari e soprattutto rimane distrutto il "reality testing".

"A questi giovani manca la possibilità di regolare il sentimento di sé; essi sperimentano una straordinaria

rabbia narcisistica che non permette di contenere l’angoscia nella sfera mentale e fa risalire le pulsioni ad

una fonte corporea (il corpo viene vissuto come separato, non appartenente a loro e quindi aggredito come

estraneo). Il masochismo è una difesa dell’Io messa in atto per fare fronte al bisogno di essere amato e

all’esperienza di ostilità che lo precede."

Per quanto attiene al futuro del giovane suicida, egli vede nella morte non l’annientamento ma il

raggiungimento di una pace profonda, di una liberazione dalle pene, di una pace narcisistica.

L’adolescente suicida è inserito in un contesto relazionale con il quale è in costante interazione e dal quale

non lo si può dissociare. La sua evoluzione è pertanto strettamente legata alle risorse della famiglia e alla

sua integrità funzionale. Di qui la necessità di analisi, di intervento sulle dinamiche familiari, di aiuto e di

supporto al contesto.

Secondo Ladame è di particolare importanza "definire con le famiglie la barriera intergenitoriale, ossia,

riaffermare nel corso dell’adolescenza l’intangibilità del tabù dell’incesto". Si può esprimere questa esigenza

ricorrendo al concetto di "contenimento": come per i primi anni di vita "per essere abbastanza buono il

contenitore deve poter ricevere quanto di penoso, di pericoloso e perciò insostenibile, per poi restituirlo in

forma tollerabile ed assimilabile dall’altro". "In generale si tende a vedere gli adolescenti come gli unici

motori del processo di separazione, trascurando che per i genitori tale situazione genera angoscia, dal

momento che segna la fine di un certo ordinamento e rimanda a ruoli separati in cui ci si può sentire insicuri.

Inoltre mobilita una certa quantità di aggressività."

Alcune famiglie sono disfunzionali, incapaci di negoziazione e la situazione può diviene drammatica e

suicidogena per l’impossibilità di soddisfare simultaneamente due esigenze contrarie: "quella di liberare i

genitori dal loro sé cattivo e quella di non rompere il rapporto con loro a nessun costo." Ciò determina un

conflitto insolubile che sbocca in una produzione di sintomi, tra cui il comportamento suicida, unica

soluzione di un conflitto senza soluzioni..14

In particolare, il suo approccio prevede: un primo colloquio nelle prime 24 ore successive al T.S. con

l’adolescente, i genitori, i fratelli e sorelle, un secondo colloquio con gli stessi un mese dopo al fine di

valutare gli eventuali cambiamenti intervenuti, ed infine un ultimo colloquio ad un anno di distanza.

D. R. Heacock: la terapia di gruppo dovrebbe essere proposta a tutti gli adolescenti che tentano il

suicidio, anche se meno di un terzo dei pazienti suicidari la proseguirà; l’autore la considera indicata "per

coloro che mostrano desiderio di integrazione con i pari, mentre non lo è per coloro che sono gravemente

depressi, che propongono una forte impulsività, tendenza all’acting-aut, ostentata omosessualità, così come

per i tossicodipendenti e per i pazienti gravemente psicotici."

E’ significativo, a quanto emerge da uno studio condotto dall’autore, che gli adolescenti ad alto rischio

suicidario non abbiano riscontrato l’effetto raggruppamento (contagio dei comportamenti suicidali). La

valutazione del pericolo suicidario è attuata attraverso la scala di Rotheram-Borus e Bradley (1990).

Il lavoro di gruppo si articola in tre fasi principali:1) iniziale (conoscenza del gruppo), 2) centrale

(verbalizzazione dei sentimenti suicidari, di perdita, di lutto, di problemi familiari), 3) finale (conclusione del

trattamento, particolarmente difficile per coloro che hanno problemi relativi alla separazione).

Anche i genitori sono coinvolti, partecipando a sedute familiari tenute prima dell’inizio della terapia e poi

ogni tre mesi. Tale coinvolgimento della famiglia è di grande importanza, poiché una cattiva relazione con i

genitori può significare la fine del lavoro con l’adolescente.

Il gruppo è condotto da un terapeuta e un coterapeuta, possibilmente di sesso diverso, in modo da poter

fungere da modelli di ruolo.

D. Amodio, U. Fornari (1988): il trattamento degli adolescenti con comportamenti suicidari deve partire

dalla valutazione della effettiva pericolosità dei desideri suicidali del giovane. "Osservandolo, esaminando la

sua storia anche attraverso i genitori si deve giungere a determinare il grado di rischio ed intervenire con le

modalità più opportune, che possono comportare l’ospedalizzazione, se il rischio è alto." A questo

proposito gli Autori descrivono il programma terapeutico "progressivo" di Shaw e Schelkun: vi è una prima

fase diretta ad una protezione adeguata in cui l’intervento è indirizzato alla diminuzione dell’ansia e della

disperazione e a rimodulare le relazioni con gli altri. Una seconda fase di carattere psicoterapico volta ad

affrontare direttamente i problemi e discutere nuove possibili soluzioni.

Più autori, pur senza proporre uno specifico modello di intervento terapeutico, evidenziano l’importanza del

nucleo familiare e della sua disfunzionalità nel "determinismo" delle condotte suicidali dell’adolescente. I

diversi contributi sono accomunati dall’evidenziare la necessità di un intervento che sia rivolto anche alla

famiglia e non soltanto al giovane..15

Stierlin (1974) descrive un quadro familiare disfunzionale in coloro che tentano il suicidio o lo portano a

termine, e distingue tre principali modalità patologiche di transazione del processo di separazione che

chiama:

Binding (vincolo). "Le soddisfazioni e le sicurezze essenziali si possono trovare solo all’interno della

famiglia; tale vincolo può esercitarsi a livello affettivo, intellettivo e cognitivo oppure agire facendo leva su

un senso distorto di lealtà, ossia colpevolizzando il figlio per ogni suo tentativo di sganciarsi da loro,

impedendogli ogni tentativo di separazione."

Delegating (delega). "Al figlio è affidato un mandato, una missione all’esterno della famiglia dettata dalle

esigenze dei genitori; egli resta così una propaggine incapace di proprie soddisfazioni."

Expelling (espulsione). "E’ necessaria la scomparsa fisica ed emotiva del figlio affinchè la crisi dei genitori

possa trovare soluzione. Quando il processo di separazione è perturbato, i meccanismi psichici

dell’identificazione proiettiva e dell’identificazione con l’aggressore mettono in funzione un’interazione

caratteristica che contiene i conflitti di ciascun membro della famiglia e si blocca la possibilità di costruire

confini stabili dei vari sè dei singoli membri."

Richman (1968) afferma che il suicidio è una risposta a una crisi familiare che riguarda la comunicazione

"spesso gli altri membri della famiglia esprimono al paziente suicida la loro rabbia nei suoi confronti

negandogli il diritto di essere a sua volta aggressivo". Williams e Lyons hanno rilevato una elevata

proporzione di elementi conflittuali, uno scarso rispetto delle reciproche differenze, l’incapacità di risolvere

in maniera costruttiva i conflitti, nonché lo scarso appoggio positivo nei confronti del giovane, nel nucleo

familiare di chi tenta il suicidio.

Sabbath (1972) introduce la nozione di "figlio superfluo", riferendosi al fatto che nel genitore vi sarebbe il

desiderio conscio o inconscio di sbarazzarsi di lui.

POSTVENTION: Comprende tutti gli sforzi volti a prestare aiuto a coloro che sopravvivono ad un

suicida: congiunti, partners, amici, persone coinvolte con il soggetto attore del perverso agito fatale.

Rimandiamo ad altro studio ciò che le attiene.

4 Considerazioni conclusive

Sulla base di quanto fino ad ora esposto, ci pare possibile concludere che la problematica del tentato

suicidio non possa essere approcciata e compresa secondo un modello di pura causalità lineare, che

consideri il gesto autolesivo una semplice complicanza di un disturbo psichico o un semplice effetto di

eventi esterni avversi..16

Sembra cioè evidente, come si evidenzia da più parti, la necessità di considerare simultaneamente l’azione

di fattori esterni ed interni. Blumenthal (1988), ad esempio, considera cinque principali aree di vulnerabilità

comprendenti: disturbi psichiatrici, tratti di personalità, eventi psico-sociali e ambientali, storie familiari,

fattori genetici e bio-umorali.

A nostro giudizio, nonostante i riscontri epidemiologici assegnino ai disturbi d’ansia un ruolo numericamente

meno rilevante nell’ambito della prevalenza dei disturbi mentali sia riguardo ai suicidi che ai tentati suicidi

(Joyce et al. 1995, Scocco e De Leo,1995), essi assumono un ruolo fondamentale se considerati un

sintomo trasversale, presente nella maggior parte dei disturbi psicopatologici. "L’ansia contiene infatti

quegli elementi fondanti a riempire i vuoti tra normalità e follia, e svelare quella sorta di psicopatologia

inapparente e ineffabile che, ciò nonostante, d’improvviso, affiora in tutta la sua tragicità" (Tatarelli 1992).

Jeammet afferma "i preadolescenti vivono le trasformazioni puberali come una sorta di violenza inflitta dalla

natura al proprio corpo e alla propria sessualità. Essi infatti non scelgono i mutamenti corporei e li vivono

come frutto dell’unione dei propri genitori. Essi non hanno scelto di nascere però possono scegliere di

morire. Essi hanno un solo aspetto di sé nel quale possono effettuare le loro scelte ed è rappresentato dai

loro pensieri. Essi pensano così di riappropriarsi attraverso la distruzione del corpo, della propria

onnipotente autonomia continuamente mortificata dalla presenza genitoriale; il corpo rappresenta l’unione

mortificata con loro".

La rottura di legami affettivi determina l’ansia da separazione, che riporta ai legami primari, al rapporto con

l’oggetto, ad un processo di individuazione-separazione che si propone sia nei primi anni di vita che in età

adolescenziale e che ha a che vedere con la problematica dell’appropriazione del proprio schema corporeo

e con l’autostima.

Il suicidio si consuma per il sopraggiungere di un raptus ansioso, cioè di uno stato di angoscia che

rappresenta una condizione di non ritorno. La depressione o i disturbi di personalità o qualsiasi altra

psicopatologia, sono lo scenario in cui va collocato il gesto suicida che diviene tale per un ingorgo di

pulsioni, che si rivolgono contro lo stesso individuo riuscendo a cogliere l’attimo di estrema fragilità dell’Io,

il suo sconfinamento in un ambito psicotico, la dissociazione del sé corporeo che cerca di annientare il

dolore che l’angoscia produce infierendo su se stesso in una condizione di atemporalità e di acausalità.

Quanto più la struttura psichica del suicida sarà fragile tanto più l’ansia si rivolterà contro l’individuo, tanto

più i vissuti angoscianti potranno divenire gesti autolesivi, perversi agiti fatali.

Gli studi epidemiologici esaminati non giungono a conclusioni significative correlando il suicidio alla

depressione, ai disturbi di personalità, ai disturbi d’ansia, pur individuando sempre nel suicida una reazione.17

depressiva; offrono l’impressione che in questo ambito qualsiasi studio non raggiunga risultati definitivi e

confermi qualunque ipotesi si voglia dimostrare con margini troppo esigui.

In questo senso ci è parsa di maggiore utilità l’individuazione delle aree problematiche trasversali alle

psicopatologie testimonianze di fragilità psichica (ansia, angoscia, perversione) e soprattutto una lettura del

problema che tenga conto anche di aspetti sociali e biologici.

Per quanto concerne gli interventi esaminati ci è parso che, se da un lato gli studi con indicazioni più definite

possono rappresentare un modello di riferimento, essi contengono anche il limite di non poter essere

sempre attuabili perchè il disturbo esaminato, come già detto, è comune a diverse psicopatologie.

Le conclusioni di Ladame ci sono parse interessanti perché partono da una lettura del problema di tipo

psicodinamico e nel contempo si soffermano sull’approccio sistemico e sulla necessità dell’intervento alle

famiglie, da un lato scenario dell’evento, dall’altro determinanti fondamentali della scelta autolesiva.

Condini ha a sua volta confermato negli studi da lui condotti, la centralità della famiglia nelle condotte

suicidali in età evolutiva, nonché la necessità di una presa in carico - in ambiti distinti - del suicida e dei suoi

familiari che consenta una rilettura di ciò che sottostà al gesto autosoppressivo.

L’intervento psicoterapeutico sul suicida deve, a nostro giudizio, contenere la valutazione dei seguenti

aspetti: la perdita dell’oggetto, che può essere riferita a persona, oggetto o ideale; il passaggio attraverso

l’ideazione suicidaria: tramite la descrizione di ciò che è stato ideato è possibile valutare la gravità del gesto

e la possibilità di ricaduta; il grado di svalorizzazione di sè, valutando se si presenta come perdita di

autostima oppure come una vera e propria auto-accusa;

il funzionamento dell’esame di realtà inteso come la capacità di disinvestire l’oggetto o di fissarsi ad esso.

Significativo appare il bisogno di un intervento tempestivo sia su chi compie il gesto che sui suoi familiari.

Più autori richiamano la necessità a che la presa in carico avvenga in Pronto Soccorso, per raccogliere

quelle informazioni che divengono il terreno su cui impostare l’intervento, per restituire all’adolescente che il

suo gesto viene preso in considerazione e non consentire che venga negato o ridotto, da lui o dai genitori,

ad un momento di crisi riferibile solo ad elementi esterni, ed infine per non consentire che venga attuato un

intervento riparatore solo sul piano fisico attraverso cure mediche.

Per quanto attiene la possibilità di prevenire i tentati suicidi riteniamo che più modalità di intervento,

effettuate da più agenzie, possano avere una loro utilità: le teen-line, utili per gli interventi relativi alle urgenze psichiatriche, la scuola, che ha sott’occhio ogni giorno preadolescenti ed adolescenti, ed è in grado attraverso opportuni imput di monitorare le condizioni di rischio; i medici di base, perché numerosi studi

hanno dimostrato che i giovani suicidi o i loro familiari si sono rivolti al medico di famiglia nel periodo.18

precedente il gesto autolesivo. Appare pertanto importante offrire al medico informazioni riguardo ai segnali

ed alle condizioni di rischio presenti.

Ci pare inoltre importante sottolineare la necessità, in questo ambito, di un lavoro d’equipe in cui vi sia una

condivisione di obiettivi da realizzare e una sensibilizzazione di tutto il personale che ha a che fare con il

suicida, anche perché condividiamo quanto affermato da Laufer circa l’importanza di una presa in carico

corretta e sul fatto che può essere preferibile non fare nulla piuttosto che un intervento che non contiene

l’angoscia e che può rimandare alla percezione che l’unica soluzione è riproporre il gesto fatale, proprio per

l’investimento che viene fatto sullo psicoterapeuta. In questo senso è opportuno che il terapeuta trovi lo

spazio per rileggere il materiale psichico che il suicida propone e che a sua volta non venga lasciato solo di

fronte all’angoscia che avvolge la morte nella nostra cultura.

Per concludere ci pare che l’approccio da tenere debba essere un approccio di tipo bio-psico-sociale,

perchè tiene conto della complessità della problematica in esame e di tutto ciò che con essa è in relazione;

consente una lettura del problema globale e prevede una condivisione degli obiettivi da raggiungere

attraverso l’integrazione di più componenti terapeutiche.

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