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Tentato suicidio in Età Evolutiva. Intervento clinico e uso della scala MAST nella fase di valutazione, attraverso la presentazione di un caso.
Ponzellini MG.; Bicchielli A.; Grandicelli S.; Fugazzaro M.; Lolli S.; Mancaruso A.; Nappi M.A., Poggioli DG;

Ipotesi: E’ noto come ogni tentativo di suicidio (TS) in età evolutiva segnali sempre una condizione di grave difficoltà. L’adolescente si trova in crisi rispetto a diversi ambiti, in particolare: a livello personale, interpersonale, nel rendimento scolastico e con i familiari. Riteniamo i comportamenti suicidari come la conseguenza di fattori interni ed esterni che, articolandosi fra loro danno luogo a situazioni non tollerabili. Diversi studiosi hanno rilevato nell’adolescente che fa un tentativo di suicidio anche una incapacità di problem solving. Per la valutazione dei comportamenti suicidari esistono diverse scale che mirano ad una valutazione descrittiva e di rischio al TS. In italiano, possiamo utilizzare la scala MAST di Orbach.
Con questo lavoro ci proponiamo di presentare attraverso la descrizione di un caso clinico, il protocollo operativo che utilizziamo con gli adolescenti che arrivano al nostro servizio in seguito ad un tentativo di suicidio.
Condividiamo con molti studiosi che si occupano dei comportamenti suicidari l’opinione che non esista una personalità suicidaria e che il tentativo di suicidio vada considerato alla stregua di altri sintomi che caratterizzano quadri noti. Consideriamo quindi l’atto suicidario come momento finale di un processo evolutivo complesso e disfunzionale che non è possibile spiegare facendo unicamente riferimento a quadri psicopatologici specifici.
Condividendo quanto in letteratura si segnala, nel nostro servizio, la presa in carico di un adolescente che ha compiuto un tentativo di suicidio è realizzata da  un’équipe pluriprofessionale che sin dal primo contatto avvia un intervento integrato che si articola sia sulle vicende interne che su quelle esterne.
È noto, inoltre, quanto la tempestività del primo contatto con l’adolescente sia prezioso per poter stabilire una buona alleanza, infatti sia l’adolescente che la sua famiglia si trovano in quel momento in una situazione di crisi. Le usuali difese psicologiche sono crollate e prima che si riorganizzino, spesso, nella direzione della negazione, vi è spazio per proporre un intervento di cura e sostegno. Se l’adolescente arriva al Pronto Soccorso o viene ricoverato in medicina d’urgenza risulta particolarmente importante che insieme alle cure mediche si preveda la consulenza psichiatrica, in ogni caso, prima della dimissione, anche quando le conseguenze sanitarie del gesto siano lievi o assenti. Sappiamo inoltre che la percentuale di recidive è molto alta e tende ad aumentare: la maggior parte dei ricercatori sostiene che il 40/60 % dei ragazzi suicidi avesse già tentato almeno un’altra volta e che l’1,5% dei giovani che tentano il suicidio vi riesce entro 12 mesi dal primo tentativo, il 4,3% dopo 10-15 anni (Rigon, Poggioli, 1997). Il primo tentativo di suicidio costituisce dunque un segnale di elevatissimo rischio e, proprio per questo, la maggior parte degli autori è concorde nel sostenere l’importanza del primo incontro come momento cruciale per stabilire un’alleanza che consenta di avviare una presa in carico terapeutica.
Metodologia : L’intervento clinico con l’adolescente giunto al nostro servizio  in seguito ad un tentativo di suicidio prevede una fase di valutazione ed una fase di trattamento intensivo. L’Unità Operativa di Psichiatria e Psicoterapia dell’Età Evolutiva, si colloca all’interno dell’UO di NPEE, risiede presso L’Ospedale Maggiore di Bologna ed è nata per rispondere alle urgenze psichiatriche. Per questo motivo ha un accesso immediato dai PS e dai clinici che segnalano una situazione di urgenza. La presa in carico prevede sin dal primo contatto un intervento intensivo e multifocale,  l’èquipe pluriprofessionale costituita dal neuropsichiatria infantile, psicologhe, educatori, assistente sociale, infermiera si organizza per l’accoglienza e l’intervento.  Attualmente tra gli strumenti utilizzati per la comprensione clinica nei ragazzi suicidari sono, oltre ai colloqui con il minore e la famiglia che si mantengono per tutto il corso della presa in carico, test cognitivi, test proiettivi, e una serie di self report per indagare l’autostima (TMA), lo stato depressivo (SVSD), il comportamento alimentare (EDI), gli atteggiamenti verso la vita e la morte (MAST), l’Adult Attachment Interview (AAI) per focalizzare gli stili di attaccamento e per esplorare la funzione riflessiva così come descritta da Fonagy.
La MAST, una scala multidimensionale ideata da Orbach et al, ha l’obiettivo di valutare il rischio suicidario negli adolescenti. E’ un self report che consiste di trenta Items che individuano 4 attitudini verso la vita e la morte (attrazione alla vita AL; repulsione alla vita RL; attrazione alla morte AD; repulsione alla morte RD) Durante tutta la vita queste attitudini sono continuamente soggette a mutamento. All’interno di questa condizione mutevole possono verificarsi eventi o esperienze in grado di modificare l’equilibro causando spinte suicidarie.
In particolare secondo Orbach la scelta per il suicidio sarebbe la conseguenza di una dimensione esistenziale caratterizzata dalla assenza di soluzioni, da uno stato di impotenza che obbliga a ritenere infinite le sofferenze (tesi del “problema irrisolvibile”). Questa percezione evoca facilmente depressione, disperazione, sensazione di essere rifiutati, abbandonati e il bambino non più in grado di tollerare tale grande disagio può incominciare a pensare alla morte come possibile soluzione, una alternativa alla vita, ed anche di continuazione della vita sotto altra forma.
Descrizione del caso
Il caso: Luca è un ragazzo di 12 anni che giunge alla nostra osservazione inseguito ad un tentativo di suicidio avvenuto attraverso defenestrazione. Il fattore precipitante è stato un peggioramento del rendimento scolastico con rischio di bocciatura. Nella caduta ha subito moderati danni fisici anche perché indossava un casco. Fin dal primo colloquio con Luca emerge il significato pregnante che ha per lui la motocicletta che sembra rappresentare l’unica isola di felicità, come spiega lui dicendo: “quando sono a scuola e arrivano i brutti pensieri fantastico di andare in moto”. Si può quindi ipotizzare che abbia indossato il casco per portare via con sé una delle cose a lui più care. Luca si è buttato dalla finestra della casa della nonna materna, luogo diventato, per lui, ostile dopo la morte del nonno.
Il primo contatto è avvenuto presso il Pronto Soccorso. Luca sembra più piccolo della sua età, è molto magro e guarda negli occhi a fatica. Ha uno sguardo interrogativo, di chi si è smarrito, sembra avere poco da dire, aspetta le domande e risponde a monosillabi, con un tono di voce fievole, monocorde, nonostante questo non mostra il desiderio di interrompere la comunicazione.
Dai colloqui con i genitori, e dall’ AAI che è stata loro somministrata, riportiamo sinteticamente i dati più significativi: il padre appare una persona rigida con bassa capacità di mediazione e in difficoltà nel cogliere i bisogni psicologici dei figli, lui stesso dichiara di avere difficoltà nel manifestare l’affettività. È cresciuto in collegio ed è principalmente per questo motivo che a parere della moglie ripropone ai figli uno stile educativo di tipo punitivo e severo (“è cresciuto in collegio e lì si ragiona in termini individuali mentre in famiglia le diverse esigenze vanno integrate”, “non riesce a ragionare in termini di gruppo neanche quando non è troppo impegnato”). È la mamma ad occuparsi prevalentemente del figlio, in particolare in questi ultimi due anni durante i quali il padre, per motivi di lavoro, è stato meno presente ed il nonno materno, con il quale Luca passava molto tempo, è deceduto. Per altro la signora si mostra sofferente e con umore francamente depresso. I genitori riferiscono che Luca ha sofferto molto della morte del nonno avvenuta nel 2004. Successivamente si è verificato un peggioramento del rendimento scolastico. La madre racconta un episodio avvenuto non molto tempo prima del tentativo di suicidio e che sembra spiegare il clima famigliare di quel periodo: in seguito alla consegna della pagella che riportava 9 insufficienze il padre decise di punire Luca e di non portarlo con la famiglia a sciare. Anche Luca racconta lo stesso episodio in una delle prime sedute di psicoterapia, dicendo di aver sentito la madre e il padre litigare fortemente a proposito della punizione. Luca rimase a casa con la nonna materna dove a lui non piace stare “non mi fa fare mai niente, non so mai cosa fare.” I genitori partirono per la montagna il giorno del suo compleanno, decidendo di festeggiarlo la sera prima. La modalità di Luca nel raccontare questo episodio ed anche molti altri in cui ci si aspetterebbe di scorgerlo dolorosamente partecipe è marcatamente segnata dall’assenza di emotività. Gli occhi e il tono della voce si animano soltanto parlando di moto ( “da grande voglio fare il pilota di moto GP”) e del suo papà, per il resto sembra raccontare le cose come fatti avvenuti e basta, che descrive senza alcuna partecipazione emotiva. Non esplicita un dispiacere, né un piacere, sembra dire “è andata così e io non provo niente, non c’è niente da provare”. Nei colloqui sino a d’ora non ha mai riferito nulla spontaneamente sulla madre, mentre più spesso parla del padre quasi sempre in toni idealizzanti, anche quando riferisce episodi che evocano in chi lo ascolta scenari di solitudine: lo aspetta sveglio fino a tardi la sera per poterlo salutare e spiega che quando il padre arriva lo sgrida dicendo che deve andare a letto subito, Luca commenta “è normale che mi mandi a letto perché poi la mattina non riesco a svegliarmi”.
L’intervento In questo caso, la psicoterapia individuale ha avuto inizio con cadenza settimanale ed è finalizzata in particolare ad aumentare l’autostima e la capacità di problem solving del ragazzo. L’assistente sociale e la psicologa hanno incontrato i genitori e la sorella di Luca per gli iniziali colloqui di sostegno per fronteggiare il momento dell’urgenza e valutare l’eventualità di attivare risorse sociali. L’infermiera e gli educatori professionali hanno incontrato settimanalmente il ragazzo con particolare attenzione alla socializzazione e al sostegno scolastico. Il neuropsichiatria infantile incontra attualmente con regolarità i genitori ed ha preso contatto con la scuola per sensibilizzare gli insegnanti della grave situazione di disagio del ragazzo. Sappiamo come in seguito ad un TS sia quasi sempre necessario un contatto con la scuola. Sappiamo che non sempre in famiglia ed in ambulatorio si ricavano sufficienti informazioni e l’ambiente scolastico rappresenta un luogo ricco di opportunità ma anche di stress per il ragazzo in crisi e quindi un osservatorio privilegiato. Inoltre le cadute del rendimento scolastico sono la regola in corso di difficoltà emotive e quindi una particolare attenzione e comprensione da parte della scuola è indispensabile.
Analisi e discussione dei dati.
Dai colloqui e dai test emerge un importante stato depressivo, ricorrono tematiche di abbandono e di perdita che richiamano quella reale del nonno, l’autostima risulta molto bassa e così anche la fiducia nelle proprie competenze. Inoltre nelle tavole del TAT si evidenzia la tendenza a gestire i problemi ricorrendo al meccanismo “dell’isolamento degli affetti”, gli impulsi aggressivi vengono repressi ed ignorati. Le storie che racconta anche se con contenuti tragici e irreparabili, finiscono comunque con un “lieto fine” esplicitando una chiara tendenza alla “negazione”. Al test di valutazione intellettiva (WISC-R) Luca risulta nella norma, mostrando un profilo intellettivo omogeneo.
Le difficoltà scolastiche ed anche le difficoltà relazionali più volte segnalate dai genitori, appaiono in relazione allo stato depressivo e alla bassa autostima circa le proprie competenze. Sappiamo come le difficoltà scolastiche e l’insoddisfazione relazionale siano tra gli elementi più spesso collegati ai comportamenti suicidari, spesso anche i fattori precipitanti.
Alla scala MAST Luca mostra il seguente profilo: AL 4, RL 2.57, AD 3.42, RD 2
Come si può osservare Luca risulta tanto attratto dalla vita quanto dalla morte e l’atteggiamento di repulsione verso la prima è risultato tanto intenso quanto quello verso la seconda. In particolare l’attrazione verso la morte raggiunge il massimo livello di intensità. Come più sopra evidenziato l’AD deriva dalla percezione distorta della morte che viene considerata come reversibile ed una possibile via di miglioramento. In particolare per chi ha perso una persona cara può essere inoltre il modo per ricongiungersi a lei.
Se si osserva il grafico (fig 1) della MAST di Luca ed in dettaglio le risposte che riguardano la AD e RD possiamo condividere l’impressione che nel caso di Luca l’aspetto la dimensione suicidaria sia concentrata maggiormente nella modificazione dell’idea della morte e dal rifiuto verso la vita.
L’attrazione alla morte nel caso di Luca crediamo derivi dalla perdita del nonno materno che rappresentava per lui un punto di riferimento affettivo fondamentale.
Tra le risposte significative ne ricordiamo alcune:“Mi fa paura l’idea che la morte sia senza ritorno.” Falso/ “Temo la morte perché di me non rimarrà più nulla.” Falso/ “Pensare alla morte mi dà i brividi.” Falso/ “Temo la morte perché questo vuol dire che non sarò mai più un grado di provare emozioni e pensare.” Falso/ “A volte mi sembra che i miei problemi siano irrisolvibili.” Vero/ “La morte può cambiare le cose in meglio.” Vero. “In realtà la morte è vita eterna.” Vero/ “Un gran numero di problemi si risolvono con la morte.” Vero/ “Ritengo che la morte possa portare un gran sollievo dalla sofferenza.” Vero/ “Aspetto la morte perché potrò finalmente rivedere persone a me care e morte prima di me.” Vero

mastLuca
In conclusione, i comportamenti suicidari sono un fenomeno complesso caratterizzato dall’articolazione di problematiche interne (compiti evolutivi, difficoltà di problem solving) ed esterne (scuola, amici, famiglia). L’uso della MAST nel caso di Luca ci ha permesso di evidenziare le deformazioni cognitive sulla vita e sulla morte che avvenute sotto la spinta di gravi e intollerabili condizioni personali ed ambientali l’hanno portato progressivamente a fare della morte l’unica risposta al suo “problema irrisolvibile”.  L’intervento multifocale attivato dall’èquipe ha l’obiettivo di ridurre le pressioni esterne e interne e di rafforzare le carenti capacità di riflessione e problem solving che lo stesso Luca con le sue parole ci spiega: cercando di tornare indietro a poco prima di tentare il suicidio, in quella casa, in quella stanza, di fronte alla finestra da cui si è buttato, per ritrovare quali erano i suoi pensieri, i suoi vissuti, Luca ricorda di non aver pensato a niente “avevo come un vuoto, era tutto scuro, non c’era nient’altro, solo  buttarmi dalla finestra, era l’unica soluzione.”
Bibliografia
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Rigon G., Poggioli D.G. Suicidio e tentato suicidio nell’infanzia e nell’adolescenza. Commenti alla più recente letteratura. IMAGO 1997, 2, 141-166.