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La mia storia
Parlare apertamente di autolesionismo e cercare di far sentire meno sole le persone che lo mettono in atto
da: http://www.prodigio.it/articoli.asp?idarticolo=640

di Laura Tondini

 

Mi chiamo Laura Tondini, ho 20 anni e una storia da raccontare. Questo non per manie di protagonismo, o per via di altre “sindromi da riflettori”, ma perché credo che con questo articolo potrò fare qualcosa (anche se piccola non ha importanza) per le persone che come me hanno sofferto o soffrono di alcuni disturbi. L’autolesionismo è un problema che esiste da troppo tempo, ma viene spesso ignorato. Non c’è una reale prevenzione su questo comportamento e si tende a classificare le persone che ne soffrono come dei “pazzi” oppure dei “poveretti in cerca di attenzione”. Le cose non stanno così!

Queste parole forse faranno ridere chi non conosce il problema o dirà “non sono affari che mi riguardano”, o magari faranno riflettere chi ne ha sentito parlare. Sono disposta a correre questo rischio: è per una buona causa. Parlare apertamente di questo comportamento e cercare di far sentire meno sole le persone che lo mettono in atto.

Automutilarsi vuol dire fare qualunque cosa contro sè stessi (dal tagliarsi, al bruciarsi, strapparsi i capelli, abusare di alcol e droghe, ecc.), alcuni metodi di autolesionismo sono entrati a fare parte della nostra società (fumare, ecc.) e sono visti come “normali” e meno devianti di altri, magari un po’ più espliciti ma sicuramente più sinceri e non camuffati da un qualcosa di culturalmente accettato. Ma non se ne parla abbastanza. Ed è un problema molto più comune di quanto non si pensi.

Molto spesso le persone che si autolesionano credono di essere le uniche a farlo, provano vergogna e non parlano dei loro disturbi e delle loro paure con nessuno nel timore di essere scherniti o di non essere compresi.

La mia è la storia di una bambina che reprimeva tutte le sue emozioni, credendo che fosse da “bambine cattive” arrabbiarsi e mostrare ira. Se si arrabbiava era per futili motivi e non era capace di spiegare verbalmente le cose che veramente la facevano soffrire.

Così, anno dopo anno, ha lottato per ogni causa possibile: dal volontariato alla politica, dalle manifestazioni all’interesse per il disagio sociale. Ha lottato per tutto questo, ma nemmeno una volta ha considerato sé stessa ed i suoi problemi. Era bravissima a dare consigli, ma poi, quando era allo specchio, si chiedeva chi fosse e che cosa stesse cercando realmente. Sotto una faccia da “adolescente-tipo” nascondeva ogni cosa, e quando non ne poteva più di mostrare il sorrisino diceva semplicemente “Sono stanca, vado a dormire”.

Questa bimba un giorno ha compiuto 19 anni e se ne è andata per la sua strada. Credeva di lasciare i suoi problemi nella casa dove erano incominciati, ma ancora non sapeva quanto sarebbero stati terribili i suoi giorni a venire, con quell’idea fissa in testa di “farla finita”. Schiava delle lamette e dei coltelli si è incamminata per il mondo, ma ancora non aveva toccato il fondo.

Ci è voluta una mattina di marzo senza più sostanze psicoattive da ingerire perché prendesse una decisione. VIVERE O MORIRE. Lei ha scelto la seconda, tagliandosi le vene; qualcuno è intervenuto e l’hanno portata all’ospedale in un reparto psichiatrico, dove è rimasta per due mesi. Uscita di lì è andata in una comunità, dove l’hanno aiutata a superare i momenti di crisi e le hanno insegnato a rispettarsi un po’ di più. Un altro dei suoi problemi erano le “caramelle pericolose”, le sembravano tanto efficaci e così semplici da gestire... Voleva dormire? Aveva la soluzione. Voleva andare avanti senza mangiare, riposare, ecc.? Eccone un’altra. Le risposte ai suoi problemi erano tutte lì, in un sacchetto di plastica.

Adesso vivo una vita normale, ho ancora dei nodi da risolvere ma me la sto cavando. So bene di non essere guarita. Guariti fino in fondo non si è mai. Quella voglia di tagliare, di ingerire qualcosa per “stare meglio” ci sarà sempre. La differenza sta nel fatto che ora ho gli strumenti per combattere questi momenti. Voglio dire una cosa a chi soffre dei disturbi dei quali ho sofferto io: non aspettare a chiedere aiuto. da soli non si può uscire da questo vicolo cieco.